Da Formia a Salò

In quella fredda mattina di un gennaio più freddo del solito, Anna mise al mondo Emilia Laura, chiamata impropriamente Mimmuccia. Suo marito Paolo,militare in carriera, fu trasferito da quel luogo,pochi giorni dopo il parto. Anna, pur innamorata, cominciava da un po’ di tempo ad avvertire una strana sensazione di straniamento. Sentiva farsi spazio tra loro, una distanza che mai avrebbe immaginato potesse esistere.
Suo malgrado rimase nuovamente incinta. Quando nacque Aldo ebbe la certezza che quell’uomo non era mai stato suo. Le avevano raccontato spesso delle presunte frequentazioni di Paolo con donne maritate e non. E lei aveva deciso di non dare seguito alle discussioni che ogni volta inscenava con suo marito. Alla fine lui ne usciva sempre vincente. La convinceva del contrario. Le giurava amore eterno. Fu quando lo trovò in atteggiamenti inequivocabili con Lidia, la sua migliore amica, che decise di andare via per sempre. Non volle rivedere Paolo per il resto della vita.
Portò con sé i suoi due figli. Si stabilì a Formia nella casa della sorella Alberta e gestiva a distanza la proprietà delle loro terre tra la valle del Liri e il comune di Cassino, dove ancora c’era la casa paterna.
Una soluzione provvisoria si diceva.
Intanto Emilia Laura aveva conseguito il diploma magistrale e cominciava a lavorare come maestra nelle scuole elementari. Aldo dopo poco prendeva la maturità classica. All’indomani dell’8 settembre del 1943, la guerra fece il suo tragico ingresso a Formia e nella valle del Liri, radendo al suolo case, chiese, strade, ponti, ferrovie ed edifici pubblici. Culminò nella distruzione dell’abbazia di Montecassino. La città di Cassino, per la disperazione di tutti e di Anna in particolare, fu rasa al suolo dal fuoco degli alleati.
Nessuno sapeva cosa altro sarebbe accaduto.
Aldo aveva solo 17 anni, una coscienza politica approssimativa e poche informazioni. Improvvisamente aveva visto entrare in casa i tedeschi con brutalità e arroganza e vedeva con quale protervia occupavano tutte le istituzioni.
Ricevette, come gli altri, la cartolina che obbligava i giovani ad arruolarsi e a presentarsi al comando della Wehrmacht. Lui e i suoi compagni di scuola non avevano la minima intenzione di servire i tedeschi. Con una lucidità raggelante si dissero :“piuttosto che indossare la divisa di Hitler, anche se i tedeschi sono stati alleati dell’Italia fino a pochi mesi fa, ne indossiamo una italiana” e aderirono, con folle spirito anti tedesco, alla Repubblica sociale. Sembrava una scelta obbligata.
I partigiani a Formia non c’erano e neanche si sapeva della loro esistenza.
Emilia Laura era stremata. La madre era morta poco dopo la partenza di Aldo.
La fine di quella guerra che era parsa una mattanza senza alcuna giustificazione, non la liberò dalle sue angosce, né dallo spaesamento personale e generale.
Cominciò il calvario della Speranza. Ad ogni treno in arrivo,Emilia Laura, aspettava il ritorno di Aldo o di chi era partito perché arruolato o fatto prigioniero. Invano. Aldo non tornò mai più. Di lui si seppe solo che l’ultima volta era stato visto in un ospedale di Acqui Terme.
Ogni storia personale era stata una storia collettiva ma anche una storia a sé, si disse Emilia Laura, difficile da giudicare con il senno del poi. Essere stati da una parte o dall’altra, era stato spesso frutto del caso o del contesto sociale, addirittura geografico, oppure una scelta mossa da una precisa idea politica.
Si erano spaccate famiglie, ci si era schierati, fratelli che avevano combattuto uno da una parte,uno dall’altra..
Non restavano che macerie da calpestare per le strade ancora sporche di sangue si disse, mentre cercava di immaginare cosa fare della sua vita,ora a fari spenti, nel silenzio inoltrato.

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