2018 Febbre a 40

Il finale mesto e torvo di questo 2017, avaro come pochi di novità positive per il mondo intero, suggerisce alcune riflessioni intorno alla politichetta nostrana. Niente di eclatante, come si può immaginare, ma vale la pena tornare su alcuni argomenti chiave.
Una discussione virtuale (i socialnetwork a qualcosa servono, dopotutto) mi ha aiutato a dar forma ad un tarlo che da tempo si aggirava nella mia testa: il concetto di “casa” in politica. Un amico mi esternava i propri dubbi sul fatto che il famoso 40% di votanti “sì” al famigerato referendum del 4 dicembre 2016 sulle riforme costituzionali si ricompatterebbe sic et simpliciter intorno a un solo partito. Sostiene il mio amico che quella percentuale di elettori finirebbe invece per dividersi, alla prova di marzo 2018, tornando “ciascuno al proprio ovile”.
Ecco, è proprio questo il punto.
Di quali “ovili” politici, intesi come contenitori attivi di gente che la pensa allo stesso modo sui temi che interessano realmente oggi la gente dispone oggi l’elettore italiano?
Certamente il Movimento a cinque stelle è un ovile. Lo è di tutte le tendenze che personalmente ritengo più deleterie in una società civile, ma lo è.
In misura minore, lo è anche la Lega, che raccoglie e interpreta pulsioni elementari, legate al fenomeno sociale più importante degli ultimi anni in Italia, cioè il flusso di immigrazione.
Un altro ovile, del quale non si riescono a indovinare ancora contorni e superficie, è la riserva che ospita le innumerevoli nuances della sinistra radicale. Un ovile prettamente ideale, che stenta, per natura storica, a farsi casa comune, edificio nel quale ritrovarsi senza litigare per più di un paio di giorni.
Il resto, a ben vedere, è un’area piuttosto vasta, sulla quale sventolano la bandiera progressista del Pd e quella, ideologicamente indecifrabile, che porta ancora il sigillo personale di Silvio Berlusconi.
Tornando al dubbio, di cruciale importanza, sulle scelte future del 40% già dimostratosi favorevole al cambiamento concreto, eterna araba fenice del nostro paese, la domanda da porsi è: a chi può dare fiducia, nel 2018, l’elettore che ha confidato nell’innovazione proposta dal referendum del 4 dicembre 2016?
La risposta a questa domanda contiene lo scenario potenziale della nuova legislatura.
Il Pd sta affrontando la situazione in condizioni purtroppo non adeguate al compito improbo che a lui spetta, come baluardo storico del centrosinistra. Ma le sue difficoltà sono, a mio parere, costituite non dai contenuti ma soprattutto dall’obsolescenza del contenitore. Il quale è costantemente, scientificamente demolito da detrattori di tutti gli orientamenti, che si divertono ogni giorno come cecchini sui tetti di Sarajevo, riuscendo a fare della sparatoria continua la principale forza aggregativa. La soluzione (definita tardiva ormai da anni) è, a mio giudizio, solo una: sottrarre il bersaglio ai cecchini e attaccare, forti di contenuti chiari e ben condivisi, posizionati in un contenitore adeguato ai tempi e liberato da zavorre perniciose.
Per essere espliciti, io penso semplicemente che in questo momento, in Italia, il Pd perderebbe qualunque elezione. E non per particolari demeriti, ma perché SI CHIAMA PD. Pertanto, allo scopo prettamente utilitaristico di non avviare il Paese al disastro costituito dalla vittoria di una (a scelta) delle altre aree politiche, ritengo che qualcosa di eclatante, dal punto di vista della percezione che il corpo elettorale ha della politica in generale, vada assolutamente fatto. E’ probabile che sia già tardi ma non è detto, e comunque è l’ultima spiaggia. Dal punto di vista strettamente politico credo che questo partito esista già, la sua piattaforma è costituita da quello che oggi è il Pd renziano, il quale può davvero raccogliere gran parte dei voti di quelli che hanno votato SI’ al referendum del 4 dicembre. Voti che, a mio parere, appartengono all’area di centrosinistra riformista ma anche a un bacino di ex elettori di Berlusconi, stanchi del cavaliere e di ciò che ha dimostrato finora. Dunque un’area piuttosto vasta, che potrebbe anche recuperare una fetta di astensionisti, gente che ha senso di responsabilità, che non è razzista, fascista o veterocomunista e che si rende conto del pericolo incombente che si chiama populismo. Una formazione senza complessi e senza preclusioni ideologiche, capace di farsi non solo ovile ma porto sicuro e laboratorio dinamico, casa di chi ritenga le riforme democratiche l’unica strada italiana ed europea verso un futuro che non si presenta né agevole né tranquillo.

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