A un certo momento alcune parole cominciano a essere molto usate. Come una moda, improvvisa quanto urgente. Se non le usi, non esisti.
Quasi tutti gli anni, quando inizio i miei corsi all’università, mi rendo conto di dover aggiungere al mio vocabolario un nuovo lemma (quasi mai si tratta di un nuovo concetto). Via via sono stata perseguitata da performance, equity, governance… Peculiarità del fenomeno non è tanto la sostituzione dell’inglese all’italiano, quanto l’uso ossessivo del termine.
In economia, le nuove parole sono quasi sempre straniere, ma i riflettori si accendono anche su quelle della nostra lingua. Quest’anno, inciampo di continuo in mappa (declinata spesso al plurale). Spunta nei campi più diversi. Ho sentito dire ad esempio che il cinema non è fotografia ma mappa. Ho sentito dire che la mappa non è flusso, bensì rete. Ho sentito dire che un concerto è una mappa…
Ricordo Roland Barthes, che, alla fine di un ciclo di seminari, da lui condotto, sull’utilizzo del termine labirinto, di fronte al ventaglio di molteplici accezioni, esibite dagli intervenuti in ogni possibile verso, concluse, lapidario: “abbiamo infine capito che questa metafora non serve a niente..”