Da 37 anni ho nella mente il tarlo dell’ubriaco appoggiato all’auto azzurra nella scena finale di Chinatown di Polanski.
Sono sempre stato lucido, del tutto consapevole della fase storica: lo stragismo fascista, la crisi petrolifera, il Watergate, gli anni di piombo, il ’77, la tentazione della lotta armata allo Stato, l’eroina, il Punk, lo Yuppismo, il Grunge, il crollo dell’URSS, Internet, il potere della TV, la globalizzazione, le guerre per l’energia, la bolla speculativa, ma sempre come uno spettatore esterno, con una storia sua del tutto slegata dal contesto, del tutto marginale ai più ma centrale per me.
Mentre la figlia dell’incesto urla alla vista del cadavere di Faye Dunaway con l’occhio sfondato dal proiettile, mentre Nicholson irrigidito bisbiglia “il meno possibile”, mentre arrivano altre volanti e il socio di Nicholson dice “è Chinatown”, ecco, proprio in questo dramma così pittorico e simbolico, l’ubriaco parla nel vuoto e barcolla appoggiato al parafango dell’auto azzurra, tenta di reggersi in piedi, ma mentre le volanti gli passano davanti scivola fino a rimanere aggrappato al predellino, come il Cristo della Pietà, come un ferito agonizzante in una vita che E’ agonia.
Perchè quella è la sua storia, anche se non è il suo Film…