Volatili equilibri della memoria

In questo momento sto perfettamente bene. A volte capita. Abbastanza di rado perché io mi goda questo stato d’animo quando arriva, abbastanza di frequente perché mi illuda di essere davvero cresciuta.

E quando sto così, vorrei depositare questa pienezza da qualche parte. Dove va a finire tutto quello star bene che sembra solido, sembra un patrimonio e non è?
Immagino una RAM in cui incidere il ‘perfettamente bene’, a cui accedere nei tempi morti e nei tempi scuri che fanno quasi tutta la nostra vita. O un Bancomat, dove prelevare le giornate silenziose e solide in cui vedo che ho fatto bene le mie cose, che la mia quiete quotidiana è un piacere santo, che le disfunzioni sono animali bellissimi da cui bisogna restare incantati senza lasciarsi aggredire.

Questi equilibri per ora sono volatili come alcool.

Allora mi sono fatta l’idea che quello che pensiamo di noi stessi dipenda solo dagli occhi che abbiamo in quel momento. Quando stiamo bene ci diciamo “Ce l’ho fatta… Ecco cos’è quella felicità di cui tutti parlano, vedi che tutto quel male bisognava passarlo?“ e crediamo di avere orientato l’andamento delle cose solo perché, casualmente, in quell’istante stiamo bene. Ma non è vero.

Non è vero, perché quando stiamo male sappiamo che le ferite sono tutte lì, che le guerre non sono vinte, che tutto quel raccontarci la nostra vita è solo un commentare post in un forum amministrato da altri.

Forse è perché sono ancora piccola, dai.
Perché ho un sospetto, che non mi rode ma a volte tintinna come quei campanellini che si attaccano in veranda: e se fosse che siamo lucidi quando stiamo bene e non, come questo secolo schifoso ci ha fatto credere, quando siamo tristi incattiviti analitici? Se la visione più affidabile l’avessimo quando siamo su queste strade larghe fatte di tempo bello, rumori familiari nell’altra stanza, giri fuori con la cuffia e le scarpe basse, di quell’istante sospeso sulle labbra subito prima di baciarsi?

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