“Voglio regalare a Frida Kahlo la maternità che non ha mai avuto e vederla sorridere…” (da Drawing Diary )
“Io e Frida ci siamo conosciute nel 1997 a Coyoacán, Città del Mexico. Arrivo di fronte alle due casette, una rossa per suo marito, Diego Rivera, ed una azzura per lei. La sorprendo seduta sulla sua sedia a dipingere. Mi saluta. La cicca della sigaretta le cade sul seno. Sorride. Con il dito ingioiellato, mi fa cenno di avvicinarmi ed io varco la soglia di casa ed entro nel suo mondo. Sconfinato. Mi siedo e mi offre una tequila, prende uno dei suoi bellissimi bicchierini messicani in vetro azzurro e mi porge una sigaretta. Mi fa cenno di prendere la chitarra sul pavimento ed intono una canzone: “La Llorona”. E’ curioso che io abbia scelto “La piagnona”. Senza rendermene conto, cambio il testo e canto il mio dolore. Frida danza e piange i tradimenti di Diego. Ha fatto sesso anche con sua sorella Cristina. Per il dolore, si è tagliata tutti i capelli e si è ubriacata ogni giorno per dimenticare. Mi confida di essere sicura che Diego abbia altre donne, perchè lei non può avere figli. Si commuove. “Ho avuto due incidenti gravi nella mia vita: La colonna vertebrale rotta e Diego Rivera”. Sento che vuole rimanere sola, così mi congedo. Mi regala una calavera di marzapane. Mi chiede di non dimenticarla. “Ciao Friducha, te adoro”. Ci abbracciamo forte. Sento il profumo dolciastro dei capelli. Rimango senza fiato. Poi qualcuno mi spinge da dietro e mentre sto per caderle addosso, mi sento afferrare per un braccio: “Señorita? Señorita? Apro gli occhi. Un tipo basso, con due enormi baffi neri, mi porge un bicchiere d’acqua. Devo essere svenuta con la macchina fototragica in mano. “Estas bien? No se puede sacar foto a Frida! Entiendes ? No photo to the wax figure” Ho sognato tutto! Frida è solo una statua di cera, seduta su di una sedia a dondolo, sventolata da un ventilatore del ’76. Sembra viva. Mi spingono malamente verso l’uscita. Devo andarmene. Esco dal recinto di cactus giganti che circondano la casa. La sera stessa, inizio a disegnare. Voglio condividere con lei le mie paure, ma voglio anche farla sorridere e regalarle tutta la felicità che merita. Frida-Betta”.
Una catarsi in cui attraverso Frida, icona del dolore e della femminilità, mi purifico dalle paure e dai blocchi. Attraverso questo viaggio, onirico ed introspettivo, affronto i demoni personali e comuni con la pittrice . Piuttosto che combatterli o esorcizzarli, questa volta lascio che sia Frida ad interagire con la paura e a trasformarla in coraggio.
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di Elisabetta Bernardinetti
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