Frequentavo il liceo artistico, scuola di capelloni neo-rivoluzionari, abituali consumatori di camicie fluo sottratte a genitori ex-sessantottini. All’epoca, escluso qualche ciuffuto figlio di Beach Boys, tutti ci definivamo comunisti. A caso, naturalmente; un po’ per le radici a zampa d’elefante, un po’ perché non se ne vedevano poi così tanti, in giro, di artisti destrorsi.
Durante i primi anni delle superiori, lo acquistavo dal tabaccaio dell’angolo. Lo stesso ricciuto signore che, mentre pagavo il solito pacchetto di sigarette da dieci, mai si sognò di chiedere che età avessi.
Il Manifesto, quotidiano comunista. Avendo cura che fosse ben leggibile la testata, lo infilavo sotto l’ascella, schivando le catene da adolescenza dark che penzolavano dalla spalla del giubbotto. Mi sentivo incredibilmente adulta, colta, scafata. E per carità, provavo pure a leggerlo! Ma mi risultava sempre troppo complesso, infarcito di politica fino alla nausea, con infiniti servizi dall’estero, scritto fitto e con poche foto da guardare, per mimare dense immersioni nella cronaca. A dirla tutta, a quindici anni mi pareva mortalmente barboso e incomprensibile. Era l’effetto-Pendolo di Foucault: dovevo averlo ben in mostra sulla libreria, ma non riuscivo a leggerlo.
Mi ci volle parecchio tempo per decodificarlo, amarne l’ironia, riconoscere lo stile di ogni singola firma e apprezzare la fulgida bellezza di una redazione non-piramidale. Imparai a collezionarne le prime pagine, a temere per gli attentati, a trattenere il respiro per Giuliana Sgrena, a divorarne l’Alias.
Ora, saltati i contributi pubblici per l’editoria non profit, il Collettivo – Ah, che parola adorabilmente rétro! – annuncia la procedura di liquidazione coatta da parte del Ministero per lo Sviluppo economico.
C’è chi dice sia la giusta conclusione della storia. E che non succede solo a Il Manifesto. E che basta, con ‘sto scialacquare per far scrivere chiunque.
A me resta un filo (rosso) di tristezza. Perché riesco ancora a infilarmici, nei pantaloni smacchiati a varechina del liceo, e il quotidiano comunista l’ho comprato per leggerlo in viaggio. L’ho messo nella borsa, ieri, per proteggerlo dalle intemperie.
E non è servito a niente.