Malik

Anna, il mio padrone, è il più sommo di tutti i sommi sacerdoti. Padre del precedente sommo sacerdote e suocero dell’attuale: Caifa. Tutti, a Gerusalemme, sanno che in realtà è lui a comandare il Sinedrio. Perciò io, che sono il suo servo, sono il più sommo tra i servi di tutti i sommi sacerdoti. Anna si fida di me anche se sono un sabeo. O, forse, si fida perché sono un sabeo. Un arabo, un aromata che si occupa della casa e dell’acqua. Un uomo utile che non cerca di rubargli la scena e vive perennemente di profilo. Così Giotto mi ha ritratto. Di profilo, mentre assisto sorpreso al bacio che Giuda da al rabbi che si crede Dio. Anche il dolore lancinante mi sorprende. Istintivamente porto la mano là dove credevo fosse il mio orecchio destro. Non lo trovo più. Al suo posto c’è il mio sangue che sgorga caldo mescolandosi a suoni indistinti: urla, rumori di lotta, spade che s’incrociano. Poi non sento più niente. Perdo i sensi. Quando mi riprendo c’è il rabbi su di me che mi accarezza l’orecchio. Lo tocco anch’io. E’ sempre lì al suo posto. Mi alzo. Le urla continuano, ma gli scontri sono finiti. Il rabbi viene trascinato via. Io resto tra gli ulivi. Ripenso al brutto sogno.

 

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