Chi ha visto L’attimo fuggente ricorderà il suo nome. Robert Frost è uno dei poeti preferiti dal professor Keating (Robin Williams), che ne cita i versi nella scena della lezione di camminata: «Due strade trovai nel bosco/e io scelsi quella meno battuta/è per questo che sono diverso». In Italia è quasi uno sconosciuto, ma in America è uno dei poeti più amati. Non fu un innovatore. Seguì il canone creato da Whitman, Dickinson, Masters – con qualche inquietudine rubata a Hawthorne – e gli bastò. Fu un poeta epico, perché mise in versi l’idea che l’americano ha di se stesso, fatta di pascoli, boschi, montagne, fiumi e uomini operosi. Ma si confrontò anche col mistero e sapeva che «La poesia è un modo di prendere la vita alla gola». Il suo merito fu rendere popolare il pensiero di uomini come Thoreau o Emerson, per niente allineati col “buon senso” americano e forse proprio per questo mitizzati. La semplicità fu la sua grandezza e gli sono debitori poeti geniali come Walcott o Heaney. Non fu un caso se il 20 gennaio 1961, quando si insediò alla Casa Bianca, JFK chiese a Robert Frost, che poteva essere considerato il vate della “nuova frontiera”, di leggere una poesia nel corso della cerimonia. Era un giorno assolato, ma freddo e ventoso. I foglietti con i versi che Frost aveva scritto per l’occasione volarono via, spinti dall’aria gelida. Il poeta recitò allora una sua vecchia cosa, The Gift Outright, che inizia così: «La terra era già nostra prima che noi fossimo della terra…» e continua «… ci donammo/alla patria…/ancora senza storia, senz’arte, senza ricchezze,/… al contrario di come sarebbe diventata.» Due anni dopo, sia Frost che JFK sarebbero morti, il primo nel suo letto, a quasi novant’anni, l’altro assassinato su una strada di Dallas. La terra che fu loro li ebbe entrambi per sé. Robert Lee Frost (San Francisco, 26 marzo 1874 – Boston, 29 gennaio 1963)