Un giorno nel tempo

Descrivo un giorno nel tempo. Dov’ero il 5 giugno? Mi provo testimone di un processo e insieme giudice di me stesso. Un esercizio di ricordi. Non di stile, con stile. Un modo nuovo di essere nel diuturno non essere. Chi ero il 5 giugno? Mi specchio e non mi rifletto più. L’oblio tuo e del prossimo tuo come te stesso. Perciò riscrivo un giorno nel tempo. Com’ero il 5 giugno? Meno nevrotico e meno timido. Spero. Uno proprio sicuro di sé. Il giudice che tutti chiedono, il difensore che tutti pretendono, il reo fotogenico e seducente che tutte le dirette vogliono. Forse il 5 giugno uccidevo con stile, ricevevo nel mio studio il reo fotogenico, ovvero istruivo un processo per omicidio. Non dove, né chi, né come, bensì perché io ero? Essere e tempo. Si lo so è più giusto dire: essere il tempo. Il tempo decide per me, convince per me, uccide per me. Io sono nel mondo perché sono nel tempo. Essere solito o perlomeno contiguo. Dunque io scrivo un giorno del tempo nel mondo e il dove, il chi, il come e il perché dell’essere sono mere coincidenze. Ecco: le vere vittime del giorno. Uccise nel corso del servizio. Dunque so per certo che il 5 giugno morivo o uccidevo, difendevo o istruivo, ero costretto nel tempo, irriducibile servo del suo volere.

 

 

 

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