Non sono solo canzonette

Ci sono canzoni che durano una stagione, altre che attraversano anni e ideologie.

Nel 1931 – erano i tempi di Giovinezza Giovinezza – Enzo Fusco incide Dicitencello vuje. La sua voce nuda, priva di retorica urla Levammoce ‘sta maschera, dicimmo ‘a verità. Gli anni passano, arrivano le leggi razziali, la guerra, la resistenza, e la canzone insieme ai bastimenti varca l’oceano, approda in America. Da Little Italy ad Harlem il passo è breve. Le voci tenorili lasciano il posto a quelle roche e sofferte dei cantanti blues.

Tradotta con il titolo Just say. I love her viene interpretata, tra gli altri, da Nina Simone che le dona una nuova sonorità.

Uguale e diversa per gli arrangiamenti continua il suo viaggio per il mondo.

Attraversa, negli anni della guerra fredda, la cortina di ferro e come molte canzoni napoletane viene studiata nei conservatori dell’URSS, diventando famosa e popolare in quella parte del mondo allora così sconosciuta.

Quando Gorbaciov, caduto il muro di Berlino, venne in Italia, ascoltandola sul palco del Maurizio Costanzo show non riuscì a trattenere le lacrime perché era la canzone preferita di Raissa, deceduta l’anno precedente. Certe canzoni arrivano, in un attimo, a scuotere i luoghi più intimi della coscienza, superando resistenze e inibizioni.

Non molto tempo fa è stata interpretata da Noa, che la canta in ebraico, con una intensità straordinaria. Nessuno meglio di lei poteva indicarle le strade del Medio Oriente, dove un tempo risuonarono Faccetta Nera, Amba Alagi e altre canzoni ormai svanite.

 

 

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