Sinfonia dai nuovi mondi

Suo marito era via per lavoro. Quella sera aveva accettato, contro voglia, di andare al concerto con degli amici. Ce l’avevano trascinata. Da tempo non era dell’umore giusto. Il figlio che avevano a lungo desiderato, immaginato, non arrivava. Avevano fatto gli esami sia lei che lui: tutto a posto, ripetevano i medici, date tempo al tempo. Al Conservatorio suonavano La sinfonia dal Nuovo mondo di Antonin Dvorak. Non conosceva il pezzo, non l’aveva mai ascoltato. Lesse distrattamente sul libretto che il compositore praghese aveva dedicato la sinfonia all’America, al Nuovo mondo, dove alla fine del 1800 si era trasferito.
La poltrona era scomoda, lottò a lungo per trovare una posizione confortevole. L’orchestra cominciò a suonare. Il suo amico, assai più anziano di lei, le strinse la mano, come ad augurarle buon ascolto.
Il pensiero era distante, le orecchie altrove, ma al quarto movimento, Allegro con fuoco, la potenza della musica la scosse dal torpore. Il crescendo dei violini le pulsò nelle vene, il suono dei clarinetti si insinuò nell’anima, il rullo dei tamburi batté all’unisono col cuore. Sentì la melodia entrarle dentro come una luce, percorrere il suo essere fin nelle viscere.
Si sentì protagonista, insieme all’orchestra e al maestro che scuoteva con furia la bacchetta, dell’esecuzione di quel brano straordinario. Si alzò in piedi per l’applauso finale, il viso bagnato di lacrime e una sensazione di onnipotenza. Poi si risedette, in preda alle vertigini. Sorrise al suo amico e in quel momento ne fu certa: il germe del Nuovo mondo era dentro di lei, radicato nel suo grembo.

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