Confusione Necrologica

Sotto il fascismo girava questa barzelletta. Un signore ogni mattina va all’edicola compra il quotidiano, guarda la prima pagina e lo restituisce al giornalaio. Trascorso qualche giorno, il giornalaio chiede all’acquirente sciupone perché consumi questo rito. L’acquirente, serio, gli risponde: “Volevo vedere se per caso era morta una persona”. Il giornalaio, allora, gli fa presente che i necrologi sono in quinta pagina. “Certo, lo so”, replica prontamente l’acquirente, “ma se muore chi dico io, stia sicuro che lo mettono in prima pagina”.
La morte di Antonio Tabucchi domani la troveremo in prima pagina, magari nel solito occhiello, vicino alla notizia sul derby d’Italia, non tanto perché è morto uno scrittore. Uno scrittore di talento, creatore di personaggi verosimilmente pessoaiani, felice narratore di miserie, di misteri miseri e di uomini che si domandano se veramente esiste un collegamento tra le loro miserie e i misteri in cui miseramente, e senza preavviso alcuno, soccombono.
Piuttosto perché è morto un antitaliano vero. Un lisbonese che passava il tempo a criticare l’Italia, i governi italiani e i partiti di opposizione. Un uomo dall’ego smisurato che ha trovato rifugio nell’ultima enclave di libertà esistente nel nostro paese. Un giornale libero, senza proprietari, talmente libero, da assomigliare, a volte, al Liberoquotidiano. Un lisbonese fissato per l’emergenza democratica del nostro paese. Crociato senza macchia e senza paura, professore più che scrittore, intellettuale, come si suol dire, a tutto tondo, genio politico incompreso.
Sostiene Tabucchi che è difficile avere una convinzione precisa quando si parla delle ragioni del cuore. Ora che il suo cuore ha cessato di battere e che il Fatto ne sta facendo l’ultimo eroe del mondo moderno, forse Tabucchi comprenderà la sua vera grandezza, quella di essere stato solamente un inventore (il più grande) di piccole storie, ambientate in piccole città, che raccontano di piccoli uomini, che ogni giorno combattono con piccoli drammi, talmente piccoli da assomigliare al piccolo dramma che si recita nella loro piccola anima.
Ricordo il mio incontro con Antonio Tabucchi, Scrittore, in uno dei miei estenuanti viaggi in treno da Roma a Catanzaro. Dopo dieci minuti che ero partito da Termini, estrassi dalla borsa il suo Notturno Indiano. Quasi contemporaneamente, anche altri tre dei viaggiatori dello scompartimento iniziarono a leggere lo stesso libro. Ci mettemmo a ridere per la coincidenza, ma poi in silenzio, affrontammo questo viaggio nel viaggio, questo ineluttabile sud, dove ogni uomo, ricco o povero, triste o felice, definitivamente si ritrova.

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