Primo Maggio

Ricordo mio padre, inappuntabile e un po’ dandy, in blazer e foulard di seta, con i giornali in una mano (li prendeva tutti, quel giorno, anche quelli anarchici) e il guinzaglio del cane nell’altra, il garofano rosso all’occhiello, sfilare tenendosi un po’ ai margini del corteo. Ricordo il silenzio attento con cui ascoltava i comizi, ricordo la sua umiltà nel sentirsi lavoratore sì ma privilegiato. Ricordo poi le feste dell’Unità, un rito imprescindibile per continuare e concludere la giornata. Ricordo che una volta, ero molto piccola, mi fece ballare sulla pista affollata (lui che non lo faceva mai) e io ne fui al tempo stesso orgogliosa e imbarazzatissima. Ricordo l’ultimo passato insieme, il cane lo tenevo io e lui spingeva il passeggino di suo nipote, piccolo, compostissimo e con il proprio garofano d’ordinanza.
Ricordo che per anni poi dopo il corteo passavo al cimitero e gli lasciavo quel fiore che continuavo a prendere per lui.
Ricordo quelli con i figli in pancia o in braccio, e quelli con il megafono.
E poi gli ultimi, quelli da sola e con i cani, in un chiudersi di cerchio.

Quest’anno non ci sono andata.
Ho più di cinquant’anni, nessun lavoro, e niente da celebrare.

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