Che rumore fa il maestrale? Lo ascolto di notte, quando arriva urla all’improvviso. Ma non è un urlo, è un boato; no non è neanche un boato. Un rumore che diviene continuo, non si ferma, fluido come l’acqua. Non è un secco boom!, non è neppure un rombo ─ vroooom!
Non ci sono lettere a sufficienza nell’alfabeto per riprodurlo, ma nelle orecchie è inconfondibile, lo capiamo tutti, un linguaggio internazionale, un idioma antico e conosciuto.
Talvolta conforta, nel buio della notte tiene compagnia e non permette al silenzio di diventare incombente e divorante. Altre volte invece è una sottile tortura, che rompe il sonno pacifico e tiene lontana la quiete. A quel punto, con la sua forza solleva le angosce e le fa turbinare sopra le testa, dentro la testa, dietro gli occhi chiusi. Ogni tanto ha pietà e si placa, lasciando il passo al sonno ristoratore e le ansie si appianano, si asciugano e rispuntano i fiori. Se ce la si fa ad avventurarsi sul prato della mente e a stendersi al sole si scivola nei sogni, altrimenti, se lui maestoso si rimette a ruggire, non basterà girarsi e rigirarsi nel letto. Bisognerà aspettare l’alba per alzarsi e guardarlo negli occhi. L’aria sarà tersa, il mare più blu del blu, i colli emergeranno in un rilievo limpido. I polmoni si riempiranno di vento pulito. E sarà fresco il cuore.