Ungheria, 1944. Una bella casa borghese, due gemelli maschi, una Madre e un Padre solerti. Il regista Janos Szasz rilegge il racconto di Agota Kristof, “Il grande quaderno“, e lo riproduce fedelmente nel film che ha il medesimo titolo del libro della scrittrice ungherese.
Il Padre, in partenza per la guerra, affida ai figli un grande quaderno su cui annotare tutto durante la sua assenza. Raccomanda loro di continuare gli studi e, bisbigliando alla Madre affinché i bambini non sentano, raccomanda a lei di dividerli, perché ciascuno possa crescere nella propria individualità. I bambini invece carpiscono il dialogo tra i genitori e muti, solo con lo sguardo, promettono di non separarsi mai.
Un giorno la Madre porta i gemelli a casa della Nonna e glieli affida. Scappa via piangente, promette di scrivere e di tornare a prenderli al più presto.
La Nonna è una vecchia strega, grassa e cattiva. Sottopone i bambini ad ogni sorta di angheria, li fa lavorare come schiavi per un piatto di minestra rancida. “Figli di cagna”, li chiama, non conosce nemmeno il loro nome.
Come nel racconto della Kristof (primo de “La trilogia della città di K.”), Janos Szasz descrive la lotta per la sopravvivenza dei due ragazzini. Per difendersi dai maltrattamenti, dalla fame, dalla guerra tutt’intorno, dal freddo. Una lotta che i gemelli intraprendono per difendersi soprattutto da se stessi, dalla nostalgia dell’infanzia perduta e dei genitori smarriti, dal lascito dei buoni principi inculcati. Un allenamento sfibrante che infliggono a se stessi per indurire membra e cuori, una sfida al dolore e alle umiliazioni che vengono loro quotidianamente inferte.
Un racconto crudele e claustrofobico col ritmo da fiaba dei fratelli Grimm, in cui i gemelli sono moderni Hansel e Gretel, resi astuti e cinici dalla cattività e dalla cattiveria in cui sono immersi. Ma non c’è alcun compiacimento da parte del regista nel registrare le loro gesta, solo pietas nel riprendere i due visetti, identici, fianco a fianco, che respirano con un respiro solo, di notte, le mani che s’intrecciano. Non ci separeranno mai, si giurano i bambini, annotando nel “Grande quaderno” ogni istante della loro esistenza.
Due piccoli straordinari interpreti (Andras e Laszlo Gyémant), una fotografia cupa e dolente che illumina le miserie della Storia, un film, struggente, sull’infanzia negata.
Il grande quaderno (Germania, Ungheria, Australia, Francia 2013)