Sbadigliano le insegne dei caffè, si stringono mani, sulle tazzine vuote beccheggiano cappelli, e le voci giù al porto: il genovese è avaro, è pigro il napoletano.
Qui la notte profuma di pane; il vento cavalca montagne e scorrazza tra tombe di principi barbari.
L’alba elenca i gradini della scala che porta verso il cielo o verso il mare; la nostalgia dell’occidente è una maschera esotica, un desiderio travestito, una battuta di caccia, un vello d’oro e un drago addormentato.
Don Eduardo aspetta il giorno e sogna un altro sole; fa freddo a Odessa, e si rialza il bavero del frac: sulle ginocchia un foglio spiegazzato che canta “sta in fronte a te, sta in fronte a te”.
Già dalla fine del Settecento operavano a Odessa il consolato di Napoli e quello di Sardegna, poi diventato consolato italiano. La lingua degli affari era l’italiano.
La grande scalinata detta Richelieu, poi chiamata Potëmkin, fu progettata nel 1815 dall’architetto Francesco Carlo Boffo.
A Odessa nel 1898 il napoletano Eduardo Di Capua componeva la musica di “O sole mio”.