Aveva solo 33 anni, l’età e il sorriso aperto delle nostre figlie, delle nostre sorelle. Si chiamava Gisela Mota ed era appena stata eletta sindaco di una cittadina messicana, Temixco. Faceva parte del Partito Rivoluzionario Democratico, l’aveva giurata ai narcotrafficanti, ai vari cartelli della droga che da sempre si contendono il territorio. Nonostante le numerose minacce di morte, gli assassini hanno avuto facile accesso, aggirando le “misure di sicurezza”. Il 2 gennaio sono entrati in casa e l’hanno freddata a colpi di pistola.
Sono migliaia i morti di questa guerra per bande, centinaia i sindaci, gli amministratori locali, i giornalisti, i poliziotti uccisi perché cercavano di contrastare gli orribili traffici.
L’omicidio di Gisela si può ascrivere, in questi tempi di barbarie, a crimine contro l’umanità. Insieme a lei hanno assassinato non solo una giovane donna determinata, ma anche la speranza di liberarsi, con le sole armi della democrazia e dell’impegno politico, dalle organizzazioni criminali. E mafiose. Perché, come scrive Roberto Saviano: la “battaglia non riguarda solo il Messico, riguarda tutti. L’obiettivo delle mafie ha un percorso unico che si tratti di uno stato del Messico o di una regione italiana, di un paese balcanico o di una città africana: espellere dalla gestione politica qualsiasi persona competente e spingere nell’arena politica i ricattabili, gli affaristi, gli incapaci“.