Il miracolo noi non lo conosciamo. Degli uomini dei nostri gatti. Il mio mi salutò per sempre in quel pomeriggio di settembre. Quando mia madre impazzì nel suo letto e la vela della sua camicia da notte non la poté più portare lontano. C ‘era sole sul letto e noi sudavamo nei vestiti e il gatto colava umori.
La pazzia può far gridare in un per sempre sottile fatto di ortensie e palme e rododendri. Su quella luna sarei andata ogni giorno, lontana e vicina. Non ci saremmo incontrati ma l’urlo lo avremmo sentito insieme. Quello ci insegue, come i mobili che nelle mie stanze ingolfano i giorni.
Noi forse dormimmo in uno stesso letto, quando i denti da latte crescevano lenti e le colazioni erano di latte e caffè e biscotti collosi. La paura ci prendeva nel mattino e ogni odore ogni movimento era un gioco. Noi fummo folli, lo ricordi?
Domenica malaticcia. Fuori il sole. Fuori il cielo non ammalato. Vertebre e muscoli a gridare. E poi la calma. E poi il senso della giornata. Una pillola frigge nel bicchiere, un pensiero, la vallata di verde umido. Malata. Senza domande.