Vorrebbe vivere a Paperopoli, con tanti zii che si fanno gli affari loro e una nonna che sforna torte di mele. Flavia lo confessa alla sua analista dottoressa Grünewald: non ne può più di ex-mariti, ex-amanti, figli maschi, amiche ingombranti. Vorrebbe scappare via dalla sua esistenza, essere ancora più invisibile di quel che è. Sta mettendo da parte i soldi per comprarsi una casa in campagna, a un’ora di macchina da Roma. Ma prima bisogna prendere la patente, che già le è sfuggita di mano tante volte.
E’ fragile, Flavia, da sempre insicura di sé. Resta attaccata come una cozza alle nuove invadenti mogli dei suoi ex, all’analista cui racconta degli altri e mai di se stessa, a amiche che hanno una vita sentimentale ancora più devastata della sua. Si ostina a frequentare, in cerca dell’improbabile anima gemella, pallosissime lezioni di tango nelle quali fa da tappezzeria con altre tardone, tacco a spillo e rosa rossa appassita tra le mani.
Eppure è bella Flavia, anzi bellissima, con quei lineamenti da madonna preraffaellita, anche se le forme sono un po’ appesantite e i 50 anni dietro le spalle. Si affanna a essere diversa, più autonoma e indipendente, ma la sensazione che torna a affliggere i suoi sogni è di essere sempre stonata, fuori dal coro.
La cinquantenne in affanno è una splendida Laura Morante che per la seconda volta, dopo “Ciliegine”, torna dietro la macchina da presa. Come nel film precedente, anche questo, ha una costruzione e un respiro diversi dalla commedia all’italiana, nonostante sia ambientato in una Roma borgatara e pur essendo gli altri interpreti (a parte il francese Lambert Wilson) l’incontenibile Angela Finocchiaro, il bravissimo Marco Giallini, l’ottima Piera degli Esposti nel cammeo della dottoressa Grünewald, tutti italiani.
Il ricorso alle scene oniriche per spiegare meglio la psicologia di Flavia è frequente – suggestiva la prima lunga inquadratura – ma l’espediente non contiene né il simbolismo di maniera dell’ultimo Moretti in “
Mia madre“, né l’esoterismo di Sorrentino in “
Youth“. Tutto è lieve, anche la tragicità oggettiva di certe situazioni viene trattata con garbo e senso dell’ironia. Si sorride e si ride spesso, Morante si diverte con le gaffes genuine, l’impaccio mai macchiettistico del suo personaggio. Di cui alla fine ti innamori e speri che quella donna fragile e imbranata, eppure piena d’amore per gli esseri umani, anche quelli a quattro zampe, ce la faccia. Ecco,
noi speriamo che se la cava. E che magari riesca a produrre un “
Assolo” senza paura di stonare.
“Assolo” di e con Laura Morante (Italia/Francia 2015)
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