Rammendo
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Dentro e fuori, indietro, dall’altra parte.
Il gesto rituale congiunge la stoffa.
I punti sono i versi di un chirurgo,
un sigillo cinese, la pantomima
della stampa. Poi traccia. Poi scia rossa.
Crescono croste, stigmate dal filo.
Cronaca di cotone congelato.
Istogramma di lividi e ferite.
La donna è intenta alla sua antica arte.
L’ago congiunge mentre sfreccia,
e sfregia, scrive, segna, sutura,
il rammendo invisibile del cuore.
Rammendo di Ingrid De Kok letta da Anna Toscano
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Ingrid De Kok scrive poesie che sono una sutura tra l’esperienza e il mondo: testi che mettono a fuoco alcuni grandi fatti tragici della storia ed eventi privati per ricostruire un senso alla vita. Il suo è un lavoro quasi di cesello, in ogni poesia un argomento da rigirare, guardare, sistemare, talvolta stirare, cucire, incidere, aggiustare: ne escono testi che sono lo specchio della vita, quella cosa che ogni giorno si compone di pezzi diversi che si attaccano ai preesistenti, per creare una nuova identità su macerie e scarti, affetti e morte. “Ci dicono che un’infanzia di ferite / è cosa certa. Sia che il volto di tua madre /fosse una stella, una maschera, un palloncino gonfiato / o rispecchiasse il tuo volto immobile: / ferite, ferite. E non solo le madri. / qualcuno o qualcosa di tremendo ci cambia […]”: è la poesia della sopravvivenza nonostante tutto, delle ferite come cicatrici dell’anima esposte fino alla superficie in quanto parte di un puzzle che è l’identità. Non tutte le ferite si possono mettere in parole, non hanno un filo per venir rammendate ma solo un cordino grigio per tenerle strette, “Ci sono storie che non vogliono essere narrate. / Se ne vanno, portandosi valigie / tenute insieme da un cordino grigio”, questo è il destino degli umani talvolta perché “Essere soli / è quanto dobbiamo aspettarci”. Il poeta è un chirurgo, ricuce la stoffa dell’umano quando l’esperienza lacera il cuore, la poesia è una sutura, riassembla ciò che è lacerato.
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Ingrid De Kok, Mappe del corpo, Roma, Donzelli, 2008