Ci mancherai, piccolo principe nero

 

Ma allora è una maledizione. Se ne vanno in serie, le icone della nostra gioventù, e non riusciamo a bloccare l’emorragia che, mese dopo mese, tragedia dopo tragedia, ci sta togliendo tutta l’energia vitale.

 

Oggi se n’è andato anche Prince, il minuscolo folletto nero, il genio di “Purple Rain”, deflagrato a metà di quegli anni ottanta che sembravano proprietà esclusiva dell’altro mostro sacro della pop music, Michael Jackson.

 

Personalmente sono quello che volgarmente si definisce un “rocchettaro”, fedele all’eredità di Beatles e Stones, Bowie e Pink Floyd. Noi i sentieri del pop li sogguardiamo sempre con la benevolenza un po’ supponente di chi si sente di un altro pianeta, rappresentante di una civiltà superiore, più evoluta.

 

Ecco, Prince sembrava fosse capitato sulla scena col compito specifico di dar torto a noi vecchi dinosauri. A dimostrare che il confine tra pop e rock è una linea d’ombra assai confusa, tu credi di essere di qua e invece ti ritrovi dall’altra parte senza nemmeno accorgerti. E lui intanto collabora con Miles Davis, coi sommi della musica.

 

Il mistero è stata la cifra artistica e umana di Prince Rogers Nelson. E’ di origine italiana? Per anni sostenne di sì. E’ cantante? Attore? Musicista sopraffino? Tutto, è tutto, Prince.

 

A un certo punto si stufa perfino di essere Prince e diventa TAFKAP. Sconcerto generale. Ma vuol dire solo “The Artist Formerly Known As Prince”.

 

Diventa vegetariano. Poi Testimone di Geova. Lotta contro la tragedia che ha spazzato via New Orleans. Fa musica, musica sempre nuova e sempre avanti, avanti a tutti.

 

A 57 anni si prende “una brutta influenza”. E muore così, senza avvertire. Muore nell’identico mistero in cui è vissuto.

 

Ci mancherai tantissimo, piccolo principe nero.

 

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