“Sono nata triste. Voglio stare bene“
È estate, nella assolata campagna toscana, in un grande casolare adattato a comunità per malate psichiatriche scorre la vita disordinata delle pazienti. A Villa Biondi c’è dunque un variegato mondo di picchiatelle, ognuna con la sua patologia, accudite da una squadra di terapeuti, assistenti, operatori sociali tra cui spiccano una dottoressa sensibile e combattiva e il direttore rassicurante.
La bella Beatrice sembra lì per caso: dà ordini, conforta, rimbrotta, passeggia morbida e sensuale proteggendo la pelle con un parasole vezzoso, ma anche lei, appartenente all’alta borghesia e di nobili ascendenze, è una paziente ospite della comunità.
Beatrice è elegante, sinuosa, ha un linguaggio colto, la battuta pronta e competenze in materia di malattia mentale. Quasi gliela fa a passare per medico quando arriva Donatella, che sembra proprio il suo contrario. Bruna, ignorante, magrissima, coperta di “volgari” tatuaggi, farmaco-dipendente.
Il trattamento farmacologico è inferno o paradiso per tutte, perché a qualcuna viene imposto, qualcuna invece ne è avida per combattere i fantasmi della disperazione.
Beatrice, che non tollera nessuna compagna nella sua camera, chiede di ospitare la silenziosa Donatella. Questa ha una solo desiderio: rivedere il suo bambino, strappatole per decisione del giudice e affidato a una famiglia.
L’incontro casuale tra le due donne è una miscela delle loro storie di eccessi: le esagerazioni da bipolare dell’una si intrecciano con la depressione dell’altra, generando una esponenziale crescita della loro energia, fino all’avventura di una fuga insieme. Una straordinaria avventura, che procurerà loro una pazza gioia, sì, ma anche molto dolore, e nel corso della quale emergeranno le loro tragedie personali, dove hanno posto e responsabilità uomini vigliacchi, approfittatori, madri algide o opportuniste, l’assenza di calore familiare.
Molti quindi i temi accennati come causa della esplosione del disagio e della deriva psichiatrica e forse proposti con tempi troppo concitati, almeno nella parte della lunga fuga. La malattia mentale delle donne ha sempre fatto paura nella storia, e anche nel cinema è stata molto trattata, ma in questo intenso film troviamo tenerezza ed empatia, una delicatezza infinita, che coinvolge com-muovendo senza turbare.
L’ottima sceneggiatura di Francesca Archibugi e Paolo Virzì propone un finale di speranza dove il ruolo della relazione si rivela terapia. Dal dolore e dalla difficoltà di queste storie si intravede la possibilità della sopravvivenza anche grazie al lavoro egregio di tanti coraggiosi operatori del settore, spesso dimenticati.
Eccellente la prova delle due protagoniste, Bruni Tedeschi e Ramazzotti, alle quali si affiancano le intense brevi partecipazioni di Anna Galiena e Marco Messeri nella parte dei disgraziati genitori di Donatella.
Da segnalare anche la fotografia a cura di Vladan Radovic e il montaggio di Cecilia Zanuso. Ancora una volta Virzì firma un film da non perdere.
LA PAZZA GIOIA, regia di Paolo Virzì, con Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, Italia 2016