Lettera a un professore supplente

Lettera a un professore supplente che quando va a scuola in provincia sembra che corra a prendere il treno per partire lontano.

Assorto tra coincidenze e tabelle è in ansia, lo si vede che soffre, che non si capacita bene se scappare lontano o restare al binario, partire senza aspettare conferma che il posto sia giusto ovvero sbagliato.

Tertium non datur ? Non è dato sapere.

A volte sembra quasi che tema il giudizio, ma nessuno davvero saprebbe dire di cosa: un mistero assorto e gentile dietro gli occhiali. Un uomo comune, un uomo normale.

Guarda i ragazzi, ogni volta fa finta di compilare il registro, nessuno capisce il tormento assorto in ogni domanda: sembra prima di tutto sia a se stesso che chieda cosa sia stato del tempo, di quando aveva vent’anni, di quanti anni abbia adesso.

Una sera la vita gli disse che andava a fare due passi, di non preoccuparsi, che sarebbe tornata al più presto. Pazienza, ma è un modo di dire a cui nessuno crede davvero.

Forse è per questo il motivo per cui, da supplente, è il silenzio che insegna.

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