Memoria
Gli uomini vanno e vengono per le strade della città.
Comprano cibo e giornali, muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso,
ti chinasti a baciarlo con un gesto consueto.
Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto,
solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe eran quelle di sempre. E le mani erano quelle
che spezzavano il pane e versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo che passa sollevi il lenzuolo
a guardare il suo viso per l’ultima volta.
Se cammini per strada, nessuno ti è accanto,
se hai paura, nessuno ti prende la mano.
E non è tua la strada, non è tua la città.
Non è tua la città illuminata: la città illuminata è degli altri,
degli uomini che vanno e vengono comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra,
e guardare in silenzio il giardino nel buio.
Allora quando piangevi c’era la sua voce serena;
e allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso.
Ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre;
e deserta è la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.
“Memoria” di Natalia Ginzburg letta da Anna Toscano
Natalia Ginzburg muove dalla memoria le sue parole, la sua realtà, il suo quotidiano, la sua vita. I suoi scritti, in versi o in prosa, contengono cose, persone, il quotidiano, il passato, il presente, tutto amalgamanto in un unico tempo che parrebbe il tempo della nostalgia. Non è solamente il passato di cui si sente la mancanza, sarebbe riduttivo, è un presente pieno di assenze – “Assenza più acuta presenza” scriveva Attilio Bertolucci – un presente vivo, aspro, pieno. E con questa pienezza Ginzburg osserva consapevole il tempo che passa su di lei in passiva attesa di ciò che verrà: guarda, e osserva, e ricorda, e descrive, “Ma a me pareva adesso di vedere che io non ero mai stata capace di vivere e adesso certo era troppo tardi per imparare, pensavo che nella mia vita non avevo mai fatto altro che guardare il fisso fisso nel pozzo buio che avevo dentro di me”. “Il viso consueto” è quello del marito Leone Ginzburg, a cui dedicò la poesia, e la pienezza del vuoto in questo testo, come la vuotezza del pieno in quel presente, in una quotidianità spiazzante e concreta, creano forza e solidità, verità e realtà, una forma di sopportazione della vita che solo la scrittura sa alimentare.
Natalia Ginzburg, Memoria, in “Mercurio”, 1944