Chiamatemi pure “tana”, perché “tanos” era il soprannome dato dagli argentini agli immigrati italiani a inizio ‘900. A Buenos Aires sono arrivata a inizio 2012, in aereo anziché in transatlantico, ma pur sempre in classe economica. E’ la città in cui ho scelto di vivere e lavorare – tanto per far capire il mio amore incondizionato. Che non mi impedisce di guardarla di tanto in tanto con occhi distaccati. Mi succede anche con gli amanti e i fidanzati. Questo è l’unico modo in cui riesco a raccontare la mia vita qui. Per esempio, il mio rapporto con l’autobus, o colectivo.
Primo passo: trovare la fermata. Sembra facile ma non lo è. Se siete fortunati c’è una pensillina coperta o un palo con un cartello. Il più delle volte c’è il palo senza il cartello (ma almeno è un indizio) o il cartello senza il palo (nel senso che è piantato sul tronco di un albero). A volte non c’è niente, ma potete localizzare la fermata dall’assembramento.
In attesa. La frequenza è buona, ma lo scostamento dalla media aritmetica elevato. Significa che a volte passano 3 autobus vuoti uno dietro l’altro, a volte aspetti per mezz’ora. In compenso, i mezzi circolano tutta la notte. Nell’attesa ci si mette tutti in fila, come nemmeno in Inghilterra, e ci si lamenta del traffico. All’arrivo del colectivo, da fermare gesticolando ostentatamente, si sale in buon ordine. Se davanti a te c’è un uomo di solito ti dà la precedenza. L’ultimo della fila avvisa l’autista, dopo essersi saldamente afferrato a un sostegno, visto che – 99 su 100 – l’autobus riparte con la portiera aperta.
Biglietto. Si fa a bordo. Una corsa costa appena 20 centesimi di euro. Ogni linea è gestita da una diversa compagnia: ogni volta che scendi e risali, paghi la corsa. Esiste il Sube, tessera magnetica ricaricabile valida sull’autobus e in metropolitana. Risparmio: zero. Comodità: assoluta, perché evita la ricerca degli spiccioli. Grazie a una soffiata, mi sono procurata la tessera a ottobre, quando nessuno se la filava ed era gratuita. Ora che costa 10 pesos, tutti a fare la fila per procurarsela a pagamento. Fa parte del concetto argentino di socialità: l’importante è “pasarla linda”.
A bordo. Se sale una persona anziana, una mamma con bambino, una signora ingombrata da borse e borsone, un giovane con la gamba ingessata, è d’obbligo cedere il posto. Altra regola di galateo è la conversazione con il vostro vicino che vi spiega dove va e perché. Se leggete un libro sicuramente qualcuno vi chiede se è interessante. Se scoprono che siete italiani vi parlano dei loro nonni.
Discesa. Capita che l’autista vi faccia scendere – a richiesta – dove vi fa comodo. La fermata regolare si prenota con un pulsante. Se deve salire qualcuno, ringraziate la buona sorte. Altrimenti tenete presente che l’autobus non si ferma, ma rallenta e apre la porta. Se siete sufficientemente agili, potete approfittare dell’attimo fuggente per saltare di sotto e ringraziare quel meraviglioso miracolo che è la vita.
Intrattenimento a bordo. Di solito sugli autobus c’è musica salsa o neo melodica argentina a tutto volume. Le linee più all’avanguardia propongono anche un pannello dove passano notizie di cronaca, con prevalenza di incidenti automobilistici mortali e aggressioni a studentesse alla fermata dell’autobus. Il tutto sotto la scritta: Buon Viaggio!