Il mare negli occhi

Nulla vi è di più caro della pupilla, nulla di più prezioso, nulla il cui destino ti stia più a cuore: sei la pupilla degli occhi miei.
Ma ciò che fa traslucida la pupilla e fa baluginare lo sguardo è il sovrapporsi di più veli d’acqua: un mare abita l’occhio, stipato tra la cornea e il cristallino, e, come tutti i mari, mai lo stesso, sempre mutevole e cangiante, giacché a questo mare fu dato il nome di umore, “umor acqueo”.
La luce, per raggiungere l’occhio, si incurva sulla parete convessa della cornea, per poi frangersi, sventagliare tutta la sua consistenza nei flutti dell’umor acqueo, quasi che la natura liquida di questa coltre ne amplifichi e, in egual modo, purifichi la potenza, preservando il cristallino da questo gravame.
E’ grazie a questo mare, tutto interno all’occhio, che il cristallino può nuotare, restando al suo posto, perché in vero non si sposta, ma esso muta la sua struttura convessa, appiattendosi e curvandosi, come il cappello d’una medusa gelatinosa che oscilli l’orlo della tesa per sospingere le correnti.
Ed è così che il cristallino mette a fuoco, senza che nulla bruci, se non il desiderio di vedere.

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