Le Ragazze di Emma Cline

Avevo tante remore su Le Ragazze di Emma Cline. Per il boom mondiale che sovente è sinonimo di facile leggibilità con tutta l’attenzione spostata sulla trama. Per la giovane età di Cline che predisponeva a uno di quei romanzi giovanilisti che servono da scoop. Poi Paolo Repetti di Einaudi Stile Libero ha insistito, giurando grande qualità. Allora sono andata alla presentazione e mi sono trovata di fronte una ragazza semplice, forte delle sue idee e del suo istinto. Che non se la tirava per nulla e non posava affatto.
Mi è piaciuta subito, adesso Emma ha 27 anni ma il libro l’ha scritto quando ne aveva 24. Mi dicevo, solo Mann ha potuto creare i Buddenbrook a 26 anni. Eppure c’era qualcosa in lei, nella sua camicia verde senza fronzoli, nella precisione delle sue risposte che colpiva.
Bene, quando poi ho aperto il libro, fin dall’inizio ho capito che dovevo fare attenzione al gusto speciale che aveva la sua lingua, alla profondità con cui Cline narra i personaggi, e la protagonista quattordicenne Evie. Evie parla in prima persona, raccontando ciò che porta una brava, media ragazza che finita la scuola andrà al college a invaghirsi di quella che le appare una vita emozionalmente più intensa della sua scontenta quotidianità familiare.
L’attrazione scatta verso Suzanne, alternativa, indifferente, strana, che vive con altre donne e uomini in una specie di comune con un capo misterioso e magnetico, Russell. Ma sono quegli anni, un decennio americano in cui tra hippy, droga e sesso libero si espande l’idea che la vita borghese e perfettina ereditata dal post-dopoguerra debba essere rivoluzionata. Anzi fatta esplodere attraverso modi sociali e sentimentali libertari.
La concatenazione di eventi porterà Evie sull’orlo del baratro: la comune è un ranch di catapecchie ai bordi della città degradato e sporco, la libertà è fittizia perché Russell non è un guru ma un sadico manipolatore delle menti dei suoi seguaci. Evie si lancia a capofitto nella loro vita disordinata fatta di furti, spaccio e sesso perché quel mondo le apre un orizzonte mai visto prima, mai sperimentato nella chiusura del suo mondo definito da leggi stupide, perché lì le sembra finalmente di contare qualcosa, di agire in un contesto esaltante e fuori dalle regole. La spinta è stata e sarà una specie di innamoramento per Suzanne, sempre vicina ma sempre sfuggente. E sarà lei, in modo improprio, a escludere Evie dalla caduta nel precipizio del sangue.
Cline ha una capacità e maturità straordinarie nell’addentrarsi nei sentimenti della protagonista così incerta e contraddittoria nella sua adolescenza ma incredibilmente acuta nell’osservare gli altri. Ogni esitazione e ogni aderenza emotiva di Evie la sentiamo sulla pelle, il contrasto tra ordine e caos dentro e fuori di lei marchiano al punto che Le Ragazze è proprio il libro che aneliamo e che troviamo raramente, perché quando finisce non siamo più gli stessi.
Qualcosa si è aggiunto, immagini si sono formate e non scompaiono nell’oblio, siamo stati là nella California alla fine degli anni sessanta e abbiamo incontrato fisicamente ogni singola persona immersa nella storia, abbiamo subito il fascino nero di Suzanne e l’incapacità della madre di Evie, il torvo e sulfureo potere delle idee che rivela la malvagità. Tutto ciò perché Emma Cline trova l’equilibrio esatto tra lingua e trama.
Le Ragazze poteva essere un grand guignol, un giallo o un horror, un romanzo furbo che mette insieme gli elementi per accalappiare i lettori. Invece ci troviamo davanti una scrittura percettiva e sapiente, talentuosamente femminile nel cogliere la delicatezza e la crudeltà che convivono in un essere umano. Chapeau Emma.

cline-libro

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto