Agli inizi degli anni ’60 fu trasmessa in TV una serie americana di genere fantascientifico, che immaginava scenari inquietanti in cui la vita apparentemente normale delle persone, veniva sconvolta dall’incontro con l’ignoto. La serie, che ebbe enorme successo, si chiamava “Ai confini della realtà“.
Gli ideatori e produttori di “Black Mirror“, una dramatic series britannica, sembrano essersi ispirati proprio a quei vecchi telefilm. Black Mirror, nella doppia accezione di schermo nero e di specchio scuro (o incubo), ci proietta in un non meglio identificato futuro, in cui tutto è governato dalle nuove tecnologie. Gli episodi, a sé stanti, narrano le vicende di uomini e donne in cui il reale è sostituito dal virtuale.
C’è un ragazzo di colore che tutte le mattine si sveglia nel suo loculo, prende visione sull’enorme video che ha di fronte del punteggio che ha accumulato e che gli consentirà di affrancarsi dal lavoro che è costretto a fare. Lui, come tutti gli altri, si reca quotidianamente in una grande palestra e pedala. Più pedala e più punti accumula e, arrivato a un tot, può aspirare a diventare un personaggio famoso. In un teatro con 3 giudici in carne e ossa, tipo X Factor, e un pubblico di avatar che applaude o disapprova a seconda del gradimento, il prescelto potrà finalmente smettere di pedalare e diventare uno showman.
C’è la ragazza grassoccia che cerca in tutti i modi di migliorare il suo profilo social. Lei, come tutte e tutti, regola la sua vita in funzione dello share che ha acquisito. Il normale rapporto umano, la stretta di mano con il collega di lavoro, il saluto con la vicina di casa o con il barista è calibrato in modo da alzare il suo share. Occorre fingersi felici e sorridere sempre, perché una piccola divergenza o scortesia con il prossimo fa calare la popolarità virtuale. E chi ha un basso share diventa un paria, tutto gli è precluso, anche l’accesso in un luogo pubblico.
C’è il primo ministro inglese che per salvare la vita alla giovane di sangue reale presa in ostaggio, dovrà sottostare alla richiesta dei rapitori e compiere gesti indecenti in diretta TV.
C’è l’uomo che scopre il tradimento della moglie entrando, attraverso un chip che ha situato dietro l’orecchio, nei ricordi di lei, una moviola che gli permette di rivedere attimo per attimo le sequenze dell’amplesso.
Il futuro che ci attende è – secondo gli autori della serie – un secolo buio, in cui il genere umano è schiavo della tecnologia sempre più sofisticata che esso stesso ha creato. Il cellulare, che tutti hanno in mano, è un’arma di distruzione di massa. Sentimenti, passioni, emozioni vengono soffocati e sostituiti dall’immagine falsa che ciascuno ha creato per risultare più attraente agli occhi degli altri. Ed è sufficiente soffermarsi sull’invadenza dei social, sull’onnipotenza dei media, oggi, per capire che se non ci diamo una regolata, se ci preoccupiamo più degli Ilike sulla nostra bacheca e degli “amici” virtuali che contabilizziamo piuttosto che della vita e dei rapporti reali con gli altri, è quello il destino che ci attende. Uno specchio nero.
Gli ideatori e produttori di “Black Mirror“, una dramatic series britannica, sembrano essersi ispirati proprio a quei vecchi telefilm. Black Mirror, nella doppia accezione di schermo nero e di specchio scuro (o incubo), ci proietta in un non meglio identificato futuro, in cui tutto è governato dalle nuove tecnologie. Gli episodi, a sé stanti, narrano le vicende di uomini e donne in cui il reale è sostituito dal virtuale.
C’è un ragazzo di colore che tutte le mattine si sveglia nel suo loculo, prende visione sull’enorme video che ha di fronte del punteggio che ha accumulato e che gli consentirà di affrancarsi dal lavoro che è costretto a fare. Lui, come tutti gli altri, si reca quotidianamente in una grande palestra e pedala. Più pedala e più punti accumula e, arrivato a un tot, può aspirare a diventare un personaggio famoso. In un teatro con 3 giudici in carne e ossa, tipo X Factor, e un pubblico di avatar che applaude o disapprova a seconda del gradimento, il prescelto potrà finalmente smettere di pedalare e diventare uno showman.
C’è la ragazza grassoccia che cerca in tutti i modi di migliorare il suo profilo social. Lei, come tutte e tutti, regola la sua vita in funzione dello share che ha acquisito. Il normale rapporto umano, la stretta di mano con il collega di lavoro, il saluto con la vicina di casa o con il barista è calibrato in modo da alzare il suo share. Occorre fingersi felici e sorridere sempre, perché una piccola divergenza o scortesia con il prossimo fa calare la popolarità virtuale. E chi ha un basso share diventa un paria, tutto gli è precluso, anche l’accesso in un luogo pubblico.
C’è il primo ministro inglese che per salvare la vita alla giovane di sangue reale presa in ostaggio, dovrà sottostare alla richiesta dei rapitori e compiere gesti indecenti in diretta TV.
C’è l’uomo che scopre il tradimento della moglie entrando, attraverso un chip che ha situato dietro l’orecchio, nei ricordi di lei, una moviola che gli permette di rivedere attimo per attimo le sequenze dell’amplesso.
Il futuro che ci attende è – secondo gli autori della serie – un secolo buio, in cui il genere umano è schiavo della tecnologia sempre più sofisticata che esso stesso ha creato. Il cellulare, che tutti hanno in mano, è un’arma di distruzione di massa. Sentimenti, passioni, emozioni vengono soffocati e sostituiti dall’immagine falsa che ciascuno ha creato per risultare più attraente agli occhi degli altri. Ed è sufficiente soffermarsi sull’invadenza dei social, sull’onnipotenza dei media, oggi, per capire che se non ci diamo una regolata, se ci preoccupiamo più degli Ilike sulla nostra bacheca e degli “amici” virtuali che contabilizziamo piuttosto che della vita e dei rapporti reali con gli altri, è quello il destino che ci attende. Uno specchio nero.
“Black Mirror” ideata e prodotta da Charlie Brooker per Endemol – In onda su Netflix