Traggo da un vecchio articolo di mio padre Antonello il ricordo di un viaggio in Costa Azzurra nel 1958 dove incontrò Pablo Picasso e dove ancora, sui temi della guerra e della pace, la sua arte creava imbarazzo e problemi di convenienza alle autorità politiche. C’era la guerra fredda, ma il tema di una umanità pacificata da lotte sociali e razziali era vivo allora come ancora oggi…
“…Nel giugno del 1958 andai a trovare Picasso alla «Californie». Si sarebbe dovuto inaugurare il Tempio della pace con la definitiva collocazione nella vecchia cappella a cunicolo di Vallauris dei due grandi pannelli La Guerra e la Pace, dipinti nel 1952, e della lunetta terminale quasi ancor fresca di colore.
Con pretestuosi motivi di «sicurezza» (la cappella non aveva doppia uscita), un’ordinanza di polizia impedì che la cerimonia si svolgesse secondo le previsioni. Finimmo così in pochi amici per festeggiare ugualmente Picasso nel giardino della «Californie», dove egli stesso sistemò a terra gli elementi della lunetta: quattro figure sagomate, bianco, giallo, rosso, nero, le quattro razze umane, sollevanti, da una base verde contro un mondo azzurro, la colomba della pace. Lo stesso insieme che si può oggi ammirare nell’abside della cappella di Vallauris, priva ancora di doppia uscita. Il motivo della proibizione disposta dal ministro gollista Berthoin fu, infatti, nel 1958, stupidamente politico.
«Io non faccio discorsi» disse Picasso. «Io parlo con la pittura. È per questo che oggi hanno voluto impedire l’apertura del Tempio della pace. Le guerre condotte contro il popolo sono sempre gravide di fascismo. Così accadde nel ’36 con Franco. Mi viene in mente che ai tempi in cui la Spagna perdeva le Fiandre, i Paesi Bassi e tutto il suo impero, un pittore di blasoni eseguì per il monarca, a guisa di emblema araldico, un sistema con secchia e verricello. Il cartiglio sentenziava: Plus on lui enlève – plus il est grand»…”