La Mazurka di periferia

Ogni anno, immancabile come il modello 730, arriva il compleanno. A festeggiarlo mi sento come quando vado dal commercialista. Gli anni passano, vorrei capire cosa c’è da festeggiare; non me la fate lunga con la storia che una donna diventa più affascinante, matura, interessante.
Sicuro ci sarà una festa a sorpresa. Mi chiama Monica, inizia a dirmi che quella sera la devo aiutare, c’è uno che le piace, ma è la prima uscita. Preferirebbe a quattro.

Ho tentato di resistere, ma lei mi ha preso per stress e a malincuore ho detto di sì. Mi passa a prendere in macchina, guida, guida, non si arriva mai.
«Ma dove è ‘sto ristorante?»
«Manca poco, dai siamo arrivate».
Parcheggia nella zona industriale, di fronte a un capannone. Spero di avere letto male, inforco gli occhiali e no, ho letto bene: CA’ DEL LISCIO. Luci esterne vintage, effetto natalizio/Halloween. La decisione da prendere è se ridere, piangere, scappare o strappare i capelli a Monica che ride come una gallina.
Suvvia, forza e coraggio, profondo respiro, entriamo e rimango a bocca aperta, amichetta tirami su la mascella! La realtà è peggio di ogni fantasia. L’arredamento cadente mi ricorda il film Straziami ma di baci saziami, con Tognazzi e Manfredi travestiti a Carnevale in un locale di periferia. Tavolini con tovaglie bianche e fiori finti in plastica, sedie in fin di vita, divanetti che avrebbero dovuto essere rossi una volta, un mix di vecchio salotto di casa, bordello e discoteca anni ’70.
Suona il gruppo Gli Amici del Sole. Tu ti aspetti un complesso geriatrico, invece no, tutti giovani. La cantante ha una bellissima voce, batterista, chitarrista, sassofonista tutti presi dal trip. Il personale, età dai 50 anni, per essere buona, in su. Poco reattivi, sguardo spento e stanco, passo strascicato, però vestiti bene, con giacca bianca e papillon rosso.
La mia amica, zitta zitta, mi trascina al tavolino prenotato dove ci attendono gli amici, chiama il cameriere e ordina due mojito. Questo è solo il primo, penso, stasera si beve alla grande, non c’è altro modo di superare la catastrofe. Bevuto il primo, inizio a guardarmi intorno. Santa Vergine, mi si apre un mondo.
Il pubblico si divide in aficionados babbioni: gli uomini che si riconoscono dal mezzo chilo di Brillantina Linetti in testa, il foulard al collo, età indefinibile, denti bianchissimi di dentiera, elegantissimi. Le donne tempestate di bigiotteria, trucco eccessivo, scia di profumo da svenimento, messa in piega alta, anche loro età indefinibile, tra trucco e botox. Poi variegata umanità e molte coppie giovani bravissime nel ballo.
Dopo due bicchieri di mojito la serata assume sapore e colore. I babbioni vedendo noi, due new entry non babbionissime, c’invitano tutti a ballare, entusiasti.

Ho scoperto un mondo, dietro il liscio. C’è il liscio emiliano, romagnolo, piemontese. La mazurka, la Polca, il Walzer viennese. il Walzer lento.
Ballo e bevo, bevo e ballo e rido, allegrotta tendente ubriaca. I babbioni sono gentiluomini con un savoir-faire da favola, delicati nell’accompagnarmi; se ballando ammollo pestate letali ai loro poveri piedi, da veri cavalieri vedono le loro stelle senza un lamento. Poi via con i balli di gruppo. Tutti a destra, io a sinistra avessi azzeccato un passo.
Verso le tre, sfinite e con i piedi a cotechino decidiamo di tornare a casa. Sabato prossimo si ritorna, i vecchi ragazzi ci aspettano, ma solo se prima abbiamo comprato le scarpe da liscio. Sono pronta, sto già studiando i modelli. Fiocco in raso e mezzo tacco, pianta larga e paillettes, non male.
Caro Casadei, perdonami, ora appiccicherò un tuo poster alla parete e comprerò tutti i tuoi cd. Una nuova vita da vampira di periferia mi aspetta.

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