Era il dicembre del 1969 e mi trovavo a Pescara per completare la preparazione, come aiuto-gerente nei Magazzini UPIM. Il capo era un gran napoletano e con lui lavoravamo in maniera spropositata con Natale ormai alle porte.
Il dodici di quel mese, nel tardo pomeriggio, la radio interna avvisò che gli aiuto-gerenti, i responsabili di reparto, l’addetta al personale e il capo-magazziniere dovevano recarsi con la massima urgenza negli uffici del gerente. Una volta entrati tutti, capimmo che qualcosa di terribile era successo e il buon Jenco stava cercando le parole giuste, per dirci qualcosa d’inimmaginabile, e lo disse col solo modo che poteva, con il cuore lacerato:« Guagliù ann’ fatt’ zumpa’ per aria nu sacch ‘e cristiani co nà bomba a Milano!». Era sconvolto, si capiva, ci aveva sempre parlato in buon italiano, anche quando ci faceva sentire il profumo dell’insalata di rinforzo. «Dicono che i Grandi Magazzini sono un obiettivo di sti piezz ‘e merd, tornate in “vendita” e tenit’ uocchie e recchie aperte, sorridete e se verit’ ‘nu pacc’ ca fete, venite subbit’ a m’avvisa’».
Con la morte nel cuore tornammo al lavoro fingendo naturalezza. Non c’erano mezzi per aggiornamenti e tutto era confuso e surreale: quella gente che gremiva il magazzino era all’oscuro della tragedia e manteneva l’aria allegra degli acquisti natalizi.Non sapevo proprio come fare a tenere la situazione sotto controllo. Mi feci aiutare dai ragazzi del magazzino, che, fingendo di scaricare (non si fa quasi mai a vendita aperta) si guardavano in giro. Fu così che qualche scatolone arrivava e ritornava indietro e qualche altro restava.
Io, per darmi un’aria disinvolta, armato di taglierino, aprii uno scatolone, bello e grande, della Ferrero. Quando vidi il contenuto, non credevo ai miei occhi, erano cioccolatini, mai visti prima, in promozione assoluta, cioè gratis e, mi dissero dal magazzino, che ce n’erano in quantità industriale per il lancio da fare nella settimana successiva. Presi la decisione di far partire subito la promozione e tutta “la vendita” fu inondata di Pocket Coffee. In quei momenti di vera allegria, lontano, era iniziata la “stagione delle stragi di Stato”. Quando chiudemmo il Magazzino, ci scambiammo sguardi sgomenti e di rabbia e corremmo a casa.
Dopo molti anni mi successe qualcosa che mi riportò a quei momenti. Vivevo a Brindisi e, nel carcere di quella città, era rinchiuso Franco Freda. Poi Freda fu scarcerato.Era ingrassato ma continuava a portare il maglione a “dolce vita” e frequentava il mio stesso bar, che era centrale e molto noto, così mi era difficile evitare il suo sguardo con quel sorriso beffardo. Una volta sentendosi osservato, rivolgendosi a me, ma parlando all’universo con un tono appena più alto, disse: «Non date retta alle malelingue, io sono uno che non ha fatto mai male a nessuno». Era un suono simile a quello del pifferaio magico. Era genialmente accattivante, mi faceva paura, il ricordo e la rabbia di quella sera era ancora forte, non potevo restare impotente, ma riuscii, raro per il mio carattere, solo a voltargli le spalle.
Nel 2005 i giudici della Suprema Corte hanno stabilito con certezza che l’eccidio di piazza Fontana fu organizzato da «un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura».