Il rumore dei passi racconta chi li cammina.
Quando ero bambina avere scarpe nuove voleva dire anche aver scarpe che facevano rumore. Ma il selciato il percorso il marciapiede la strada il pavimento marmo legno piastrelle erano la possibilità del suono e del racconto.
Chi non aveva avuto scarpe, ma aveva potuto correre, giocando nei campi o sul selciato liscio di pietre antiche, ambiva o subiva le scarpe con la suola di cuoio e i tacchi coi rinforzi che ne garantivano la durata.
Chi invece, cittadino, veniva stretto tra stringhe e solette, non vedeva l’ora di togliersele e saggiare con la pianta dei piedi troppo morbida, ogni novità scabrosa o accogliente. Le corse sulla sabbia rovente sono un classico che non girano più.
Ci sono città dove il rumore dei passi distingue persone e personaggi; i percorsi obbligati, o quelli nascosti, hanno rumori diversi. Il silenzio del movimento segnala sempre pericolo, imprevisto in agguato, buio.
I Romani, in Occidente e nell’Impero, avevano costruito strade per poter fare rumore, che fosse marcia e spavento. In Oriente, medio ed estremo, da sempre solo gli eserciti fanno rumore, gli assassini e i ninja arrivano nel silenzio mortale.
Poi hanno inventato le scarpe sportive, la gomma il lattice i materiali plastici, e il rumore del passo è via via sparito. Non quello del passo da corsa ritmato, non quello di un piccolo che inciampa, non quello di un vecchio.
Quando voglio sentirmi, ascoltare il mio percorso, metto scarpe che fanno rumore; mi basta un pochino di tacco e sento la strada che faccio e mi fa compagnia il ritmo del passo. E poi guardo, e ascolto con gli occhi, i passi degli altri, anche se non vogliono o possono fare rumore; a volte il silenzio mostra la fatica o la pena, a volte mostra la musica e l’andare è un gioco di passi; da ragazzi.