Cantacronache

In un lontano febbraio del 1975, intervistando Michele Straniero gli chiesi: “Tu che hai partecipato a Cantacronache …”
Con un leggero sorriso, mi interruppe : “Io non ho partecipato a Cantacronache, l’ho inventato”.
Seduto dietro una scrivania nella sede della federazione provinciale del PCI a Milano in via Volturno, con un enorme ritratto di Togliatti alle spalle, raccontò a me e ad un mio amico le vicende di quel gruppo di intellettuali formato da Sergio Liberovici, Margot, Fausto Amodei, Giorgio De Maria, Emilio Jona, e tanti altri che, alla fine degli anni cinquanta, decisero di formare un collettivo con l’idea di rinnovare la canzone italiana, coniugando cronaca, impegno politico, cultura, e note musicali.
“Cominciammo a scrivere delle canzoni, le prime incentrate proprio a ridosso della cronaca. Per esempio, Canzone di Capodanno su un bambino che era morto di fame alle Casermette, un quartiere popolare di Torino, la notte proprio di Capodanno. La zolfara su alcune disgrazie ed infortuni sul lavoro avvenute nelle zolfare siciliane quella primavera, credo. Dove vola l’avvoltoio sulla difficoltà che l’idea della Resistenza incontrava ad entrare nella cultura nazionale. Era il periodo in cui gli studenti facevano sciopero per Trieste italiana. Per fare il disco, pensammo di rivolgerci ai cantanti; io, per esempio, feci ascoltare il nastro delle prime dieci canzoni di Cantacronache al Direttore della Cetra di allora. Questi lo ascoltò e trovò che non erano adatte; erano troppo politiche, non erano adatte per essere lanciate e quindi non se ne fece nulla.
Allora Liberovici si rivolse ad una ragazza che cantava con un gruppo che si chiamava I quattro del muretto di Alassio, Franca di Rienzo. Facemmo incidere a Franca di Rienzo le prime quattro canzoni, un’incisione un po’ di fortuna, in un negozio di dischi, in una cantina, con un registratore. … Ci venne l’idea di chiamarlo Cantacronache sperimentale…”
Con quell’inconfondibile voce e con quell’aria sempre un po’ sorniona continuò a raccontarci di come furono messi in musica i versi di Italo Calvino, Franco Fortini, e di tanti altri intellettuali, ci parlò dell’incontro con Roberto Leydi e di come furono allestiti gli spettacoli “Bella Ciao” e ” Ci ragiono e canto” che riscoprivano la musica popolare e di protesta dell’altra Italia.
Oggi su quella straordinaria stagione sembra caduto un velo di oblio, eppure, come ha ben sottolineato Umberto Eco, ” se non ci fossero stati i Cantacronache e quindi se non ci fosse stata anche l’azione poi prolungata, oltre che dai Cantacronache, da Michele L. Straniero, la storia della canzone italiana sarebbe stata diversa. Poi, Michele non è stato famoso come De André o Guccini, ma dietro questa rivoluzione c’è stata l’opera di Michele: questo vorrei ricordare”. E sempre Umberto Eco, nella prefazione a “Le canzoni della cattiva coscienza” riferendosi a Straniero, Jona, Liberovici, e De Maria scrive “attenti ai problemi della musica popolare, ammiratori di una tradizione della canzone che in altri paesi ha dato altissime prove, sono stati infatti costoro, insieme ad altri, a dar vita a quel movimento dei “Cantacronache” che ha inciso più di quanto non si pensi sul costume musicale”.

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