Mi guardo dentro, cerco di vedere se inizio dal nulla, ma non c’è alcun nulla dentro di me, o prima di me. Io ci sono sempre stata, pur se non sempre mi chiamavo io. Perché dovrei poter morire se non sono mai nata?
Mi sento come la vita fosse eterna. Non la mia, la tua, o la sua. Tutta. La vita non finisce, mai è cominciata, non ha avuto inizio – era da prima di materia e energia, prima della luce stessa. Prima del tempo e dello spazio, le due fragili sciocchezze.
La vita è da sempre, è prima del tutto, invece del nulla. E’ lei. La conosco benissimo, penso che voi tutti l’abbiate sentita. Dico che lo so, ma non lo so davvero, e forse è illusione, una botta di endorfine, e nemmeno ci crederei, non la sentissi addosso come un cane che mi morde i polpacci, mi spinge avanti avanti, senza smettere. Implacabile.
Una spinta che non è mai finita, nemmeno nella buia cucina invasa dal gas, dove, sul pavimento, io vidi disteso il corpo di mia madre, la testa nel forno. Anche quando raccolsi abbastanza pasticche da seguirla nella morte, e le buttai via, perché nessuno meritava davvero lo facessi.
Non ci credo, ma la esperisco, la sento nel corpo e nella mente. E mi perseguita, quando sono nel fondo dell’abisso. Mi abbraccia, mi mostra la gioia.
Non ci credo, perché troppo è il dolore. Non ci credo, per non passare per matta, che già sono autistica. Ma mi basta pensare la gioia, per vederla apparire – anche adesso – sentirla scorrere nel sangue, saettare nel cervello. La gioia, che non riesco a non vedere.
Là dove è possibile sciogliersi, ridividersi in atomi veloci. fondere come neve come nuvole, goderne.