Parto podalico

Non avesse provato tanto dolore, le sarebbe venuto da ridere pensando a quanto si diceva sull’argomento. Chi era già al quarto, al quinto, diceva di non accorgersene più nemmeno; sua nonna le borbottava sempre di non fare tante storie, che era stata creata per quello. Lei, sebbene fosse al terzo, come le volte precedenti era distesa a letto, fradicia di sudore e nonostante la mascella indolenzita per il digrignare di denti si era lasciata sfuggire un urlo sordo di rabbia e frustrazione. A quel suono, la porta si era socchiusa e la testa del suo compagno aveva fatto timidamente capolino: «Ti serve qualcosa? Come va?»
«Vattene! È colpa tua se sono in queste condizioni!»
Le era uscito tutto in un sibilo, come una pallina di carta lanciata dalla canna di una biro svuotata. Lui era entrato lo stesso portando un bicchiere d’acqua con due cubetti di ghiaccio, come piaceva a lei.
«Sei sicura di non volere nessuno? E se fosse una situazione podalica come la volta scorsa?»
«Non è vero! Sta per uscire, me lo sento!»
«Davvero pensi che sia colpa mia?»
«Ma no! Sai anche tu che sono cose che si dicono quando arrivi al termine».
Lui si era concesso un sorriso.
«Non volevo bocciare il finale che avevi scelto. Non l’avessi fatto non saresti in queste condizioni».
Lei aveva le mani incatenate alla tastiera del pc, ipnotizzata dall’andare e venire del cursore appena dopo la parola “epilogo”.
«No, avevi ragione tu. Mi spieghi perché mi capita sempre di bloccarmi a fine romanzo nel bel mezzo dell’estate?»
Aveva cambiato posizione del pc ormai surriscaldato; le gambe erano in fiamme.
«Dimmi solo che andrà tutto bene».
Già sulla porta le aveva acceso il ventilatore.
«Andrà alla grande! Assomiglierà tutto a te e sarà stupendo».

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