Lei camminava. non aveva una direzione. né attraversare la strada le faceva paura. si sentiva come in una bolla di sapone. l’aveva scelto di sentirsi così. come fosse una magia. vedeva le cose attraverso un velo. sorrise. senza accorgersene. non le importava di finire sotto quella macchina. di perdersi e non ritrovare la strada di casa. né di sentire dei passi dietro di sé con il presentimento che sarebbbe successo qualcosa. non le importava. cosa poteva succedere che volando via per un po’ non avrebbe poi smesso? niente. o sarebbe morta. allora l’avrebbero pianta. ci sarebbero stati tanti fiori bianchi. sua madre avrebbe realizzato il funerale più bello. così come le organizzava i compleanni. poi l’avrebbero dimenticata.
forse.
si svegliò davanti al portone di casa. un pomeriggio di ottobre. come se avesse dormito fino a quel momento. l’odore delle foglie bagnate sotto le scarpe e la luce calda al di là del vetro. poteva vedere sua madre.
acciambellata sulla poltrona a righe fumava una sigaretta. lentamente. le mani nervose. la fronte tesa quasi le stesse sfuggendo la fondamentale risoluzione di un pensiero. lo sguardo oltre la finestra. oltre. oltre lei che la guardava. aveva freddo. ma non le importava. il suo corpo a volte la disturbava per un attimo, ma lei se ne dimenticava subito. e tornava a pensare. a parlare con se stessa. un discorso che non le dava tregua. da sempre.
la finestra della cucina appannata. sul fuoco una pentola. suo padre era li. la camicia allentata e un buco sul calzino. come le piaceva suo padre. così elegante e così trascurato. così giovane e dolce. e distratto. parlava al telefono. incrociò il suo sguardo. per alcuni secondi i suoi occhi furono dentro quelli di lei. e lei lo implorò. di vederla davvero. ma lui non la vide. e usci dalla stanza. fece un passo indietro. respirò a fondo l’aria fredda che quasi la fece piangere dalla voglia di correre dentro. di spalancare la porta e correre in braccio a sua madre. lei avrebbe interrotto i suoi pensieri. l’avrebbe guardata e le avrebbe accarezzato i capelli. oppure avrebbe rincorso suo padre e lui avrebbe messo giù il telefono e l’avrebbe guardata preoccupato. per lei. gelida e perduta.
fece un altro passo indietro e guardò quella casa e lei in piedi davanti alla porta come fosse stata l’ultima scena di un film. bellissimo. ma non poteva entrarci dentro. doveva guardarlo così. solo così avrebbe conservato quel ricordo. girò le spalle alla sua casa e alla famiglia che c’era dentro. quella che da fuori era quella che quando era dentro avrebbe tanto voluto. e ricominciò a camminare.