C’è una parola che mi ossessiona, ormai da innumerevoli anni.
La parola è “sistema”. Fin dall’adolescenza, ha sempre rivestito, nella mia percezione, un’aura decisamente negativa. Il sistema era qualcosa di coercitivo, una giacca troppo attillata, una camera dal soffitto basso e le pareti strette, quasi soffocanti. Una ripetizione meccanica di regole non scritte ma immutabili, asfissianti, noiose, assillanti. Insomma, qualcosa da abbattere prima possibile, prima che esso, il sistema, si impossessasse definitivamente della tua vita, privandoti del libero arbitrio che il buon Dio, nella sia infinita misericordia, ha concesso a te e a tutti noi.
Il sistema, da abbattere sempre urgentemente, è un aggeggio dai contorni sfumati, molto poco definiti. Di sicuro c’è solo che il suo opprimente spettro spadroneggia sulla povera umanità, sempre ed immancabilmente accompagnato dal suo contrario, fascinoso e ammaliante: la rivoluzione.
Nulla è più luminoso, tonificante e salvifico come la rivoluzione. Viene quasi da ringraziare i loschi inventori del sistema per aver permesso, stimolandola tramite una crudele tirannìa, l’immacolata concezione dell’idea rivoluzionaria.
Qualunque rivoluzione va bene, pur di abbattere il sistema.
Il rivoluzionario è, per definizione, giovane, bello e ardito. Il demiurgo del sistema invece, non ha meritato neppure un nome per essere compiutamente identificato: quale immagine evoca il termine “sistemista” se non quella, patetica, del giocatore seriale di Totocalcio, uno che dedica la vita ad inseguire improbabili vincite milionarie, spesso riducendosi in miseria?
Il vocabolario tenta di definire l’orrenda parola affrontandola in quattro o cinque modi diversi, dei quali il più chiaro mi sembra essere quello che viene dal mondo della matematica e della fisica: “Complesso ordinato di insiemi”.
Ecco. La società degli umani è per l’appunto un complesso di moltissimi insiemi, che per funzionare appena decentemente, senza eccessivi pestoni sui piedi del vicino che ha i tuoi stessi diritti ed è tenuto ai tuoi stessi doveri, è costretto a seguire delle regole. Ad essere ordinato, insomma.
Visto così, il sistema assume un aspetto più sopportabile, la dannata parola si colorisce di un’accezione se non altro accettabile per la sua evidente necessità, a scanso di guai seri.
E poi, e poi. Pensandoci bene, con la tediosa saggezza dell’età matura, riesce oltremodo difficile rammentare una figura rivoluzionaria che poi non abbia, a sua volta, imposto con le buone o le cattive un altro sistema. Il suo, quello buono, quello infallibile.
Addirittura compaiono, è cosa recente, rivoluzionari che non si danno neanche pena di prefigurare un’organizzazione futuribile delle cose. Ci si penserà dopo, per ora pensiamo a scardinare il sistema. Il domani è nostro. Der morgige Tag ist mein, cantava il giovanetto biondo nella memorabile scena in cui (il film è Cabaret) decine di pacifici tedeschi riuniti per una bevuta di birra campagnola, si alzano pian piano tutti in piedi a cantare, come un sol uomo, inconsapevoli di dar via libera, con quella canzone, alla più immane tragedia del secolo scorso.
La conclusione è che, in fin dei conti, il sistema non è un’idea politica ma esiste di per sé, nella convivenza civile. Come il motore di un’automobile, un meccanismo di ingranaggi, di “insiemi” da tenere in ordine con una manutenzione attenta e costante. Per andare avanti il più possibile senza incidenti fatali.
Manutenzione Rivoluzione Saggezza