Caro Gino

Caro Gino,
Sei stato la colonna sonora della mia vita. Quando apparisti per la prima volta a Sanremo, con quegli occhiali rettangolari che diventarono “alla Gino Paoli”, fosti subito bocciato dai miei nonni, troppo legati agli acuti di Claudio Villa per apprezzare la tua voce e i testi che cantavi. La TV era in bianco e nero e tu eri proprio il personaggio ideale per quella cupa location. Eravamo a cavallo degli anni ’60, gli unici indimenticabili. Avevi trent’anni, non eri un ragazzino, eri credibile per le cose che raccontavi. Io ne avevo meno di venti e ascoltavo incantato Il cielo in una stanza. Erano i tempi dei 45 giri e dei giradischi a pile e questo facilitava la possibilità di portarsi dietro quello che serviva per concederti di essere testimone di momenti magici. E quando anche Mina la cantò il successo diventò globale. Indimenticabile la poesia di Albergo a ore, grande successo della Piaf, riproposta con quella cantata triste che solo tu sai fare. Anche Ennio Morricone compose per te: Sapore di sale diventò la canzone dell’estate di sempre per sempre. Porti con te ancora oggi il proiettile che ti sparasti con una piccola pistola, c’entrava quell’amore contrastato per Stefania Sandrelli che ti attirò l’invidia di tutti i maschi d’Italia; ti ho sentito dichiarare che Amanda è la cosa più bella che hai creato: mi è piaciuta anche questa tua interpretazione. Ormai ti fai crescere i baffi, che sono ingialliti dal fumo delle sigarette, e porti dei nuovi occhiali a goccia. Ancora ci incontriamo e non solo con le canzoni.
Due anni fa, di ritorno dalla Sardegna, una bambina mi si avvicinò: signor Paoli, può fare un autografo alla mia mamma che si vergogna di chiederglielo?

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