Ottimo peso massimo ma l’incontro per il titolo fu la fine. Un altro match e poteva restare cieco. Lo conobbi quando, da studente, facevo il facchino in una coop. Mi chiamarono per un trasloco.
Quartiere nuovo, non c’era un negozio d’alimentari e lui mi offrì il suo cibo. Un generoso gigante dalla forza e dall’agilità straordinaria! Si caricava sulle spalle frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie, armadi come fossero piume. A pranzo ci conoscemmo. Aveva la V° elementare e un enorme bagaglio d’esperienze che sapeva raccontare.
Mi colpì la sua bontà. Amava gli animali, i bambini, la moglie, suo figlio Luigi; quando parlava di loro i suoi occhi scintillavano. Si sentiva felice e fortunato lui che il pane se l’era sempre sudato con fatica, lacrime, rischio. Dovendo rinunciare alla boxe cercò lavoro. Trovò solo posti da gorilla; e lui era un pugile, non un picchiatore.
Luigi aveva una rara cardiopatia e i risparmi se ne erano andati tutti tra cure e visite. Cominciò a rubare nelle case dei ricchi. Lo chiamavano Rampicone perché non c’era ostacolo che non sapesse scavalcare. La iella si ricordò di lui. Sei mesi di galera.
Il vecchio manager lo aiutò e lo presentò alla coop. Spesso lavoravamo insieme al grattacielo dell’Agip (ora Eni) all’Eur, organizzato in modo fantozziano: ventiquattro piani, gli ultimi due per i dirigenti e, via via scendendo nelle segrete, il capo operaio e noi paria.
Un giorno doveva portare Luigi dal cardiologo e chiese di andarsene prima. Permesso accordato ma squillò il telefono. L’ingegnere Politi del 23° voleva proprio lui per cambiare la disposizione dei mobili nel suo ufficio. Il capo operaio gli disse che doveva portare il figlio dal medico. Inutile. Politi ordinava e basta. Sapeva tutto di chiunque entrasse nel palazzo e ne disponeva come oggetti.
Ancora il telefono: era l’ usciere: Rampicone era impazzito. Corsi per primo all’ascensore. Al piano le porte si aprirono: Politi era a terra, la camicia a brandelli, gli occhiali storti, il labbro spaccato. Piangeva. Il mio amico, moderno Sansone, aveva quattro filistei a bloccargli braccia e gambe. Li trascinava come fuscelli. Cercai di fermarlo e mi spiaccicò contro il muro. Gli ultimi tre uscieri volarono lontano. Prese Politi e lo sollevò.
“Pensa a Luigi!” gridai. Lo lasciò scivolare a terra. L’ingegnere piangeva come un vitello e se l’era fatta addosso. Arrivarono il capo operaio e due facchini. Soffocavano le risa vedendo com’era ridotto l’onnipotente Politi. Il re era nudo.
Chiesi a Rompicone cos’era successo e lui mi raccontò che, dopo aver spostato tutto ben tre volte, cominciava a farsi tardi. Doveva andare e glielo disse. Politi imbufalito lo aggredì. Urlò che il bimbo sarebbe diventato ladro come lui, che erano solo feccia, rifiuti di fogna.
Gong, second out. Per evitare scandali (stavamo tutti in nero) la vicenda fu messa a tacere. La coop, sentiti tutti, capì le sue sacrosante ragioni e non lo licenziò.
Passarono i giorni e a Politi serviva un facchino. Andai io. Aveva uno zigomo tumefatto e le labbra ancora gonfie; pensando a come poteva conciarlo stava benissimo. Ma ciò che mi stupì fu che appena arrivai si presentò col suo nome di battesimo, volle che ci dessimo del tu e mi offrì il caffè.
Il metodo Montessori, versione Rampicone, aveva dato i suoi frutti.