Gaby (1921-2014) e Raymond Aghion (1921-2009) era una coppia di ebrei franco-egiziani, ferventi militanti antifascisti e comunisti, che portarono nella Roma del secondo dopoguerra una ventata anticonformista per le loro amicizie surrealiste e la aperta libertà di costumi.
Ero un ragazzino e mi rimase impressa la loro spigliata simpatìa che ti apriva a modi di vivere inusuali e ricchi di esperienza vitale. Li ricordo a Capri, nella casa di Sara Mancuso Caccioppoli, legata a Mario Alicata, dove passarono un periodo: lunghi bagni da Tiberio, i sandolini alla Marina Piccola, il nudismo.
Gaby era piccolina, graziosa, divertente; Raymond longilineo, dall’occhio languido e intenso. Gli Aghion erano due esponenti della alta borghesia di Alessandria d’Egitto: lei, nata Gabrielle Hanoka, figlia di un proprietario di una fabbrica di sigarette; lui, rampollo di una altrettanto agiata famiglia di origine italiana, aveva fondato un giornale di sinistra dopo avere partecipato alla Resistenza e dato vita ad una associazione marxista, ‘L’amitié francaise’.
Con Gaby si era unito fin dai banchi di scuola, erano diventati comunisti e dopo la guerra si trasferirono a Parigi. Erano amici di Tristan Tzara, Louis Aragon, Paul Eluard, Roger Vailland, e del poeta Edmond Jabès che dedicò loro una poesia, ‘Chanson sans titre’’. Amico di Yves Montand e di Jorge Semprùn, Raymond era di casa al Café de Flore, assieme al ‘milieu’ intellettuale degli anni Cinquanta.
Aprì nel 1956 una galleria d’arte in Boulevard Saint Germain, dove esponeva Sebastian Matta; mentre Gaby, per suo conto, immaginava la formula del ‘prèt à porter’, a metà strada tra il basso costo e l’alta moda, ‘classico e semplice’, come amava dire…ed era una anticipazione, sul piano del gusto e della moda, delle ansie emancipative ‘tra femminismo e femminilità’.
Due comunisti, due borghesi, ebrei ed egiziani: una miscela di contrasti e di esperienze decisive per tutto un periodo storico del secondo dopoguerra. Così erano i due coniugi Aghion. Ma Gaby aveva una personalità sovrabbondante, probabilmente, rispetto al marito. La sua proverbiale effervescenza la portò rapidamente al successo con la casa di moda Chloé (1952), che conquistò Parigi. Dalla sua lezione vennero giovani designer di talento come Lagerfeld, Stella Mc Cartney, ed altri.
Rividi gli Aghion alla fine degli anni Sessanta (era l’epoca del ‘Tribunale Russel’, contro i crimini di guerra americani nel Vietnam) e ancora una volta nel 1972, quando accompagnai mio padre a Parigi per incontrare la vedova di Max Ernst.
L’ultima volta fu quasi vent’anni dopo. Ero seduto da Lipp assieme a Pascale (da poco era sbocciato il nostro amore) e improvvisamente mi apparve arrivare Raymond solitario, seduto vicino a noi col solito fare dinoccolato e pensoso. Non sembrava invecchiato, lo riconobbi subito.
Mi rivolsi a lui, e alla prima gli dovetti apparire quasi uno sconosciuto. Ma non ci volle molto a ricordare. Allora sorrise felicemente, mi abbracciò e chiese notizie degli amici di Roma, in particolare di mia madre e de ‘son ami Antonello’, che non vedeva da tanti anni. Avevo da poco avuto la notizia del male che inesorabilmente aveva colpito mio padre. Non so perché ma non ebbi il coraggio di dirglielo. Mi pregò di salutarlo con la amicizia di sempre, mi abbracciò e si appuntò silente sul ‘plat du jour’ che aveva appena ordinato.
Era solo, forse coltivava qualche amarezza, non so, questa fu l’impressione ultima che ne ricevetti (suo cugino Henri Curiel, eminenza grigia di sinistra in Francia e nel Medio Oriente, era stato assassinato un decennio prima pare da membri dell’OAS: mah…) .
Oggi sia lui che Gaby non ci sono più. Ma sono persone che non si dimenticano.