Quarantotto ore

La presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, senatrice di Forza Italia e fedelissima di Silvio Berlusconi, ha due giorni di tempo per effettuare un mandato esplorativo, ossia per sondare la possibilità reale di costituire una maggioranza di governo che includa il M5S e la coalizione di centrodestra, formata come si sa,da dalla Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia.
48 ore per interpretare una fase politica di estrema confusione.
La mia opinione è che la signora Casellati non riuscirà a portare a termine il compito che il presidente Mattarella le ha assegnato. Questo perché il Movimento a 5 stelle non rifiuta un accordo con la Lega ma respinge con sdegno la partecipazione del partito di Berlusconi nell’esecutivo. Per quale motivo? Perché la variegata base grillina, già mugugnante per la storia dei programmi trasformati con un tocco di bacchetta magica dopo le elezioni, non manderebbero giù un’alleanza col partito da sempre ritenuto (insieme al Pd renziano) la causa di ogni male capitato al Belpaese.
Dunque, c’è da chiedersi come mai invece il portavoce Di Maio non sia altrettanto deciso nel rifiutare l’aiuto del Pd nella formazione di un governo.
E’ presto detto. Il Pd continua a mostrare divisioni lancinanti al suo interno, anche sulla questione cruciale dell’eventuale partecipazione a un governo a guida M5S. Al quale fa molto comodo condividere pesanti responsabilità col minimo sforzo, impedendo di fatto un’opposizione reale da sinistra e realizzando in pratica quella politica di scardinamento totale del sistema che ha sempre teorizzato.
A mio parere infatti, se dovessero manifestarsi, come è probabile nel corso della legislatura,una serie di convergenze con il centrodestra, il M5S non esiterebbe a votare con quest’ultimo per far approvare le leggi che ritiene opportuno far approvare. E l’alleato Pd rimarrebbe con il più classico palmo di naso.Tutto questo rappresenterebbe per il M5S il raggiungimento dell’obiettivo prefissato, ossia un controllo pressochè totale del Parlamento.
Ritengo questa eventualità assolutamente perniciosa per il paese. Per l’inconsistenza dei programmi del M5S e per l’incapacità evidente dei suoi rappresentanti nella gestione di una entità nazionale (dopo le pessime prove fornite in quelle regionali e comunali). Ma soprattutto per i metodi palesemente antidemocratici che questo movimento ha dimostrato di utilizzare, in modo estremamente spregiudicato, per arrivare al potere.
Può darsi che, dopo il fallimento dell’incarico esplorativo in corso, il segretario reggente del Pd, Maurizio Martina, mostri disponibilità a un dialogo col M5S in vista di una possibile collaborazione di governo. In questo caso, credo che in tempi brevi sarebbe avviata finalmente, all’interno del Pd, la fase di separazione tra un nascente partito d’ispirazione riformista e la fazione che, invece, vede con favore la partecipazione a un governo di cui si fa molta fatica a individuare elementi di omogeneità politica.
Ho detto finalmente, perché interpreto questo evento come un contributo essenziale di chiarezza politica per il futuro.
Nel presente, se non dovessero essere trovate maggioranze possibili, come tutto lascia credere, l’ipotesi più seria è il ritorno alle urne. Magari affidando al premier uscente Gentiloni la gestione, nell’immediato, di un esecutivo mirato al varo di una legge elettorale finalmente consona alle esigenze del Paese.

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