Sono trascorsi due mesi dalle elezioni del 4 marzo e l’unico eclatante risultato portato a casa dai sedicenti vincitori è l’abolizione dei vitalizi. Si dice che vuol essere un segno forte per la moralizzazione della politica e che prelude (addirittura!) all’avvento della terza Repubblica. Mi immagino le manifestazioni di giubilo dei giovani in cerca di lavoro e dei disoccupati del Sud all’annuncio che con questo intervento radicale si sono realizzate economie per la straordinaria somma (tutta da verificare) di 120 milioni annui.
Ma quegli stessi emarginati, ai quali è stata così restituita piena dignità di cittadini, hanno assistito in queste ore al corteo del Presidente. Non mi riferisco a quello, ad un tempo populista e comico, di Roberto Fico che per fare una passeggiata primaverile nelle viuzze del centro storico della vecchia Roma, con il nobile intento di non gravare sulle casse dello Stato, mette insieme una processione degna degli onori che si devono al Santissimo.
No, mi riferisco a un più autorevole corteo.
Sicuramente, in queste ore vi sarà capitato di assistere in televisione al trasferimento del Presidente della Repubblica Mattarella da una stanza all’altra del suo Palazzo. Il programma scrupolosamente studiato dal cerimoniale del Quirinale prevede: due corazzieri in alta uniforme, due addetti militari (almeno con il grado di generale), naturalmente di armi diverse, un commesso con tanto di collare e poi uno stuolo di consiglieri (in primis il segretario generale Zampetti) che nemmeno il Papa quando va ad aprire la Porta Santa.
Carissimo e stimatissimo Presidente non faccio appello al suo senso del ridicolo, ma le consiglio di rivedere le prassi del cerimoniale. Lasci perdere i cortei. Soltanto così quella che fu la prestigiosa residenza di Papi e Re potrà divenire davvero e senza retorica la Casa di tutti gli Italiani.
Cerimoniale Demagogia Senso della misura