Wajib – Invito al matrimonio

Padre e figlio
di Giuliana Maldini

Il cinema più ancora dei libri ci fa entrare direttamente in mondi a noi lontani perché se i libri lasciano più spazio all’immaginazione, nei film scopriamo meglio certe quotidianità attraverso ambienti e paesaggi. Qui siamo nella città di Nazareth che viene attraversata in lungo e in largo da un padre e un figlio, sia mentre sono in automobile sia quando sostano nelle case di amici e parenti. Anche noi spettatori ci troviamo a osservare questa città piena di contraddizioni: i terrazzini precari, l’immondizia, la gente e i suoi pregiudizi, il cibo e i problemi politici ma soprattutto veniamo sempre più coinvolti dal rapporto aspro e fortemente dialettico che c’è tra i due protagonisti. Alla fine ci affezioniamo a entrambi perché ognuno ha le sue ragioni, come succede ovunque e qui, nelle sfaccettature del loro rapporto, niente ci è estraneo. Il figlio è infatti come tutti i figli del mondo e contesta i valori tradizionali del padre in un crescendo di discussioni, battibecchi e apparenti incomprensioni ma, man-mano che la storia procede, anche il loro rapporto si fa meno distante. Il sapere che nella realtà i due attori sono davvero padre e figlio rende la vicenda ancora più realistica e coinvolgente. In questi ultimi anni scopriamo (per fortuna) molti film di autori nuovi che arrivano da lontano e che ci aprono nuove realtà. E soprattutto incominciano a fiorire sempre più anche le regie di donne. La regista di questo film si chiama Annemarie Jacir, è giovane e bella ma soprattutto è la prima donna palestinese regista. Evviva!

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Due generazioni
di Costanza Firrao
Annemarie Jacir, giovane regista palestinese non racconta di donne nel suo ultimo film: le figure femminili sono appena abbozzate. Parla invece di due uomini, Abu e Shadi, un padre e un figlio (non solo nella fiction pure nella vita) che si ritrovano dopo tanto tempo in occasione delle nozze della rispettiva figlia e sorella. Con uno stile secco ma ricco di risvolti psicologici e sociali, la Jacir ci conduce nel labirinto dei cuori inaspriti di Abu e Shadi, e in quello delle strade sporche e invivibili di Nazareth.
Un road movie – i due vanno in giro su una vecchia Volvo – in cui si affrontano due generazioni e due modi di vivere contrapposti: il padre ancorato alle tradizioni, il figlio che non le tollera. Sullo sfondo la storica città della Galilea, situata in territorio israeliano, in cui convivono due comunità arabe, quella di religione musulmana – la più numerosa – e quella cristiana. Ed è proprio a quest’ultima che appartengono i due protagonisti. In tutte le case che vanno a visitare per recapitare l’invito al matrimonio – titolo del film – albergano orrendi alberi di Natale e altarini con immagini sacre. Tutto è orrendo agli occhi di Shadi: negozi di paccottiglia, abiti da sposa da incubo, e teli di plastica ovunque, a celare brutture che sarebbero meno brutte se fossero esposte. Celare, appunto, sopire le differenze, curare le apparenze e tralasciare la sostanza delle cose, nutrire l’ipocrisia nascondendo la realtà: è questo che Shadi detesta e che lo allontana sempre di più da suo padre.
Anche se, nei rapporti complicati tra genitori e figli, può arrivare qualcosa (un vecchio cd da ascoltare, un tramonto da guardare insieme) perché le posizioni diventino meno conflittuali e, con uno sforzo reciproco, perché l’uno arrivi a capire le ragioni dell’altro.
Wajib – Invito al matrimonio di Annemarie JacirPalestina 2017

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