Il 14 luglio, cento anni fa, è nato Ingmar Bergman, uno dei più grandi registi del mondo, che ovviamente ha influenzato molti altri registi dopo di lui a cominciare da Woody Allen.
Io, grazie a lui (e a Fellini) da ragazzina m’innamorai perdutamente del cinema con una sfrenata passione che non mi abbandonerà mai più.
Ricordo perfettamente quando vidi per la prima volta un suo film in una cineteca milanese. Era “Il posto delle fragole” e già dalla scena iniziale (il sogno-incubo dove il protagonista si aggira smarrito in strade notturne e deserte con orologi senza lancette e l’arrivo di un’inquietante carrozza funebre) trovai emozioni e interrogativi che mi appartenevano: l’esplorazione dentro di sè e i dubbi sull’esistenza di Dio.
Bergman come molti artisti è riuscito a penetrare nel mondo dell’inconscio meglio di tanti psicoanalisti e leggendo poi la sua bellissima autobiografia “Lanterna magica” sono rimasta affascinata dalla brutale sincerità in cui si racconta mettendosi a nudo senza pietà… ”ero un pessimo amante, in veste di conversatore parlavo ininterrottamente di me stesso. In seguito ci fidanzammo e ci ingannammo subito reciprocamente. Cecilia pose fine alla nostra relazione sostenendo che non sarei mai diventato qualcuno, parere che condivideva coi miei genitori, con me stesso e con altre persone che mi stavano intorno”.
Tutto il libro parla dei suoi problemi psicosomatici, del terribile rapporto col padre, delle tumultuose relazioni con le donne e io ho sempre pensato che a volte la nevrosi può essere per un artista un terreno fertile per la creatività (oltre che un’autoterapia). Meno male che Proust o Picasso o tanti altri grandi artisti non si sono fatti curare dagli psicoanalisti, così noi miseri mortali abbiamo potuto gioire dei loro tormentati capolavori.
Bergman è stato un uomo infedele e certamente ha fatto soffrire molte delle sue mogli e amanti (lui stesso lo ammette) eppure è uno dei registi che più di altri ci ha lasciato meravigliosi ritratti femminili; anzi, le donne sono sempre state le vere protagoniste dei suoi film ( “Persona”, “Le soglie della vita”, “Sussurri e grida” e tanti altri). Per non parlare di “Scene da un matrimonio” certamente autobiografico in cui Bergman penetra come una lama dentro a tutte le fasi di una lunga storia d’amore – dalla passione iniziale ai tradimenti alle recriminazioni alla gelosia alla nostalgia alla rielaborazione dei sentimenti – e ognuno di noi non può che riconoscersi in qualcuno dei tanti momenti raccontati.
Ma Bergman è stato anche capace di essere lieve e ironico come in “L’occhio del diavolo” o in “Sorrisi di una notte d’estate”. Mi dispiace molto che la televisione non trasmetta mai i suoi film ma temo che i giovani non possano apprezzarli perché siamo abituati ormai tutti a ritmi più veloci. Anche i film non di azione ma per certi versi simili (quelli intimistici e introspettivi) sono comunque girati con maggiore rapidità.
Ma certe sue inquadrature sono così potenti che mi sono rimaste stampate in modo indelebile nella memoria, come la rappresentazione dell’attore che interpreta la morte nel “Settimo sigillo”. E’ bastato quella specie di passamontagna senza trucchi particolari o effetti speciali per trasmettermi inquietudine.
Concludo con una frase che potrebbe essere anche mia (ma quanti dialoghi nei film di Bergman ho sentito miei!) ed è quella di un’attrice che nel “Settimo sigillo” è aggrappata all’albero della vita e chiede supplicando: “esistono regole speciali per i buffoni e per gli attori?”
Ma la morte dice no mentre imperterrita continua inesorabilmente a segare con la sua falce il tronco.
Donne Inconscio Ingmar Bergman