Un affare di famiglia

 La famiglia non si sceglie

di Costanza Firrao

La famiglia, per definizione, non si sceglie. E se invece ci fosse data la facoltà di sceglierla? In questa frase si racchiude il senso dell’ultimo film di Kore’eda Hirokazu, che di nuclei famigliari e delle dinamiche al loro interno è da sempre un acuto osservatore. A partire dai titoli “Father and son” (2014), “Little sister” (2016), “Ritratto di famiglia con tempesta” (2017), il regista giapponese racconta storie di genitori e figli, fratelli e sorelle, strette parentele. Anche in questo caso, Kore’eda ritrae un gruppo di persone che vivono sotto lo stesso tetto. Nonna, padre, madre, forse una sorella minore di lei, e un ragazzino, stretti in un ambiente poverissimo, gelido in inverno e soffocante in estate. Ciascuno di loro campa come può ma il cibo viene condiviso e consumato in allegria. Anche quando, a sorpresa, si aggiunge un’altra piccola bocca da sfamare. Il film è come diviso in due tempi: nel primo la cronaca della vita comunitaria raccontata in diretta tra siparietti divertenti e a volte toccanti, nel secondo la stessa situazione e gli stessi soggetti visti attraverso una lente d’ingrandimento che coglie sfumature inattese.
Come in Father and son, il tema della genitorialità è centrale, ma mentre lì lo scenario era quello di una borghesia benestante, qui il quadro è degradato, a tratti sordido, e ritrae una classe operaia abbrutita dal lavoro precario, che vive di espedienti poco puliti per sopravvivere. Hirozaku si sofferma, più che in altre sue opere, sul tema sociale e sul divario tra classi ricche e povere senza tralasciare le contraddizioni del Giappone odierno, stretto tra un’osservanza talvolta ipocrita delle tradizioni e uno sfrenato modernismo. La fotografia è straordinaria, nitida e precisa quando ritrae la famiglia intorno al desco o col naso in su, di notte, a guardare i fuochi d’artificio in cielo, o quando, in riva al mare osserva felice le onde che s’infrangono. Tra tutti gli attori, bravissimi, da segnalare i due meravigliosi piccoli interpreti – è stato definito un film ad altezza di bambino – e la nonna, attrice cult di Kore’eda, Kirin Kiki, già presente in tutti i film succitati e protagonista di un altro lungometraggio giapponese, Le ricette della Signora Toku.

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Una famiglia non istituzionale

di Giuliana Maldini

Il film “Un affare di famiglia” come tutti gli altri di Hirokazu, conferma la rara sensibilità del regista nel raccontare i suoi temi preferiti, che ruotano sempre intorno al mondo dei legami familiari. Anche questo, come “Little sister”, “Father and son” e “Ritratto di famiglia con tempesta”, parla, in un suo modo, di amore e della strana convivenza di un gruppo quasi familiare che non ha niente di tradizionale, anzi, dove tutto è fuori dalle regole, ma che riesce, comunque, a far vivere un microcosmo di reciproci affetti. Per quasi tutta la prima parte del film non si capisce bene chi è il padre o la madre o la nonna, ma si viene coinvolti da subito nelle vite dei vari personaggi, che vengono raccontati con delicatezza e simpatia, nonostante tutti quanti conducano un’esistenza discutibile e ai margini di una società più ricca, organizzata, pulita e apparentemente più giusta. Ma cosa è davvero giusto? Chi sono davvero i buoni e chi sono i cattivi? Man mano che la vicenda procede in quella piccola casa fatiscente e disordinata, ognuno rubacchiando qua e là nei supermercati o facendo lavori discutibili, ci si interroga sempre di più su cos’è o cosa dovrebbe essere o non essere una famiglia. Questo film non indulge in sentimentalismi retorici ma è un’analisi attenta, cruda e commossa sulle disuguaglianze, su chi è stato abbandonato e chi invece è stato scelto, e quindi sui tanti modi in cui può esprimersi l’amore, al di fuori delle regole biologiche e sociali.

Premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes.
Un affare di famiglia di Kore’eda Hirokazu – Giappone 2018

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