Uscite dal mondo

Uscire dal mondo nascondendosi dietro i cespugli

nel parchetto di casa.

Con latte e biscotti, di notte, alle quattro.

Imparare a fumare, sforzarsi di smettere. Ricominciare da capo.

Guardare per ore dentro lo schermo di un televisore degli anni cinquanta per interrogare i fantasmi.

Seguire il primo gatto che passa, giù nella strada, perché ha la coda diritta e i baffi alla moda.

Controllare il livello dell’acqua. Nelle bottiglie dei supermercati.

In città, aspettare per ore quel bus che è sempre notoriamente in ritardo.

Quando arriva, andarsene con calma: per fargli un dispetto elegante.

Coltivare piante sul balconcino di casa. Parlar loro per ore.

In autunno, accorgersi che erano sorde.

Girare intorno ai cassonetti dell’immondizia. Intrattenere i condomini imbronciati discutendo sul senso

dell’esistenza.

Funziona con i più educati, ma non è garantito.

Leggere tanto, prendere appunti, tenersi informati. Non capirci niente lo stesso.

Fare l’esperienza della disoccupazione.

Per una disperazione davvero completa si consiglia prima di compiere i cinquant’anni.

Provare ad entrare nella gabbietta del canarino.

Mettersi in una valigia, spedirsi, vedere sin dove si arriva.

Uscire di casa dimenticando apposta le chiavi.

Uscire dal mondo, per crederci ancora, per andare a cercare speranza. Decidere poi cosa farci.

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