I luoghi intorno casa mia sono frequentati da volatili variamente assortiti. Piccioni, merli, tortore, cince, passeri, gazze.
Per queste ultime, nonostante il loro verso non proprio celestiale e la “cattiveria” verso gli altri uccelli, ho un debole. Mi piace osservarle, con la loro splendida livrea a contrasto col tetto cupo della casa di fronte, o sulla magnolia o quando atterrano sul prato o nel campo dei vicini.
Sto lì e desidero che prima o poi si posino anche sul mio balcone.
Sarà vero che i desideri, pur se irrealizzati, producono un’energia invisibile che finisce comunque da qualche parte?
Perché da circa tre giorni c’è un piccione che viene a farmi visita. Con molta nonchalance si posa e tuba serafico, osservandomi curioso e per nulla intimorito dalla mia vicinanza e dai miei movimenti, come se finora non avesse fatto altro.
Mi sento come Pollon quando ruba le frecce a Eros e poi sbaglia la mira creando amori improbabili.
E mentre penso «sì dai, non sei una gazza ma dopotutto sei simpatico», lui plana dalle arelle al muretto, lascia cadere un grazioso souvenir escrementizio sul pavimento e vola via.
Ottenere una versione ridotta del desiderio iniziale e una discreta dose di merda da pulire: metafora perfetta della vita.
Rido e vado a prendere il mocio. Fanculo pure le gazze.