Mi chiamo Bond? Sì, mi chiamo Bond. Devo ripeterlo un paio di volte prima di tirarmi su dal letto perché ogni tanto faccio fatica a ricordarmelo. Poi mi alzo, infilo le ciabatte e, prima del caffè, prendo la pastiglietta per la pressione alta. Mi vesto. Metto l’antiacido nel taschino della giacca, sopra la fondina della pistola di plastica, ed esco per andare al lavoro. Nella buca delle lettere c’è un messaggio di M. Per leggerlo devo cambiare occhiali (non vi ho detto che porto quelli da miope?). Niente di importante: solo per ricordarmi che oggi ho la visita dall’urologo.
In ufficio vado a piedi perché il cardiologo ha detto che mi fa bene. E poi l’Aston Martin non posso più guidarla da quando non mi hanno rinnovato la patente perché ci sento poco. Già che ci sono passo in farmacia. Mi servono l’Aspirinetta, il Lexotan e il Cialis: non si sa mai, anche se le Bond Girls ormai fanno fatica a riconoscermi. Devo anche ricordarmi l’adesivo per la dentiera e la tintura per capelli. Eccomi arrivato. Mi piace lavorare qui. Che ore sono? Quasi le otto. Fra cinque minuti apro il portone, infilo il berretto e mi metto a guardare le colleghe giovani che passano nel body scanner. Che bello fare il portiere all’MI6. Al Servizio segreto di Sua Maestà.