Pregare. Io lo so come si fa. Ora te lo spiego. Va bene anche una chiesa. Magari non una basilica possente, ma una chiesa qualsiasi, quasi vuota. Lì, trovati un angolino tranquillo e ascolta, piano. Pensa alle tante persone che, prima di te, davanti a quella santa circondata di rose di plastica, hanno pianto e sperato; che hanno mandato lassù, verso il soffitto lontano, i loro sogni e dolori – uguali ai tuoi. Ascoltali. Ci sono. Con loro, prega. Con le parole che vuoi, o anche senza. E’ uguale.
Ma non si prega per se stessi, mai, o per ottenere qualcosa – nemmeno salvare una vita. Puoi solo sperare di ottenere la forza per portare la tua croce, per aiutare chi soffre.
Non c’è altro da chiedere. Mi dispiace dovertelo dire.
A un certo punto, lì, nell’abisso della tua solitudine, probabilmente sentirai la luce. No, non la vedrai. La sentirai, la ascolterai. Non è Dio. Forse è dio, ma con la minuscola, perché è dentro al tuo dolore e non se la tira da onnipotente. Non è padre, perché magari è una immensa madre che si condoglia con tutte noi minuscole creature sue.
Ma se preghi lei c’è. Ti solleva fra le sue braccia, ti stringe.
E la forza che hai chiesto arriva. C’è. La conosco benissimo. Sono atea, ma dio finge di non saperlo.